"Don Ruggero Ruvoletto è stata l’immagine di una Chiesa che non si è rassegnata". Il racconto di don Marco Cagol dal Brasile
Il racconto di don Marco Cagol, vicario episcopale per le relazioni con il territorio, in questi giorni in Amazzonia per le celebrazioni dei dieci anni dalla morte di don Ruggero Ruvoletto. Il ricordo e l'incontro con il popolo di Manaus: "Nei loro volti, c’è un riflesso indelebile del volto di don Ruggero"
Quanto sei “neofita” del Brasile (ma ciò vale per ogni posto) a volte ti colpiscono dettagli apparentemente insignificanti per chi qui da anni vive e opera ed è implicato in cose ben più serie. A me in questi giorni ha colpito l’abitudine di “stampare” magliette per ogni evento, con immagini e scritte spesso esplicitamente religiose, veri e propri “santini” da indossare. Arrivato a Manaus, nella parrocchia di S. Etelvina, insieme a don Lucio e don Orazio, da anni fidei donum in Brasile, nella canonica dove visse e fu ucciso don Ruggero Ruvoletto siamo stati accolti con una gentilezza squisita dai due padri missionari della Congregazione di Guadalupe, p. Alejandro e p. Luiz, e per prima cosa ci hanno donato una maglietta della marcia per la pace che si sarebbe svolta da lì a poco, con impressa una grande foto del volto sorridente di don Ruggero. Di magliette raffiguranti don Ruggero, in quel pomeriggio poi ne ho viste molte altre, diverse tra loro, ma sempre con il suo volto sorridente che tutti ben ricordiamo. Significativo questo incrocio di volti: centinaia di persone sorridenti, tra cui molti con addosso il volto sorridente di don Ruggero! Persone, che dopo 10 anni tengono ancora viva la memoria di chi per loro è un vero e proprio “martire” della fede e della giustizia. Nei loro volti, c’è un riflesso indelebile del volto di don Ruggero. E tra loro molti erano i giovani e i ragazzi provenienti dalle diverse aree missionarie del quartiere periferico di Manaus, con i loro presbiteri, provenienti da varie parti del Brasile e del mondo.
Tutti lì, per partecipare alla marcia che don Ruggero aveva ideato l’anno prima di morire per chiedere giustizia e pace, e che, in coincidenza con il decimo anniversario della sua morte e con quanto l’Amazzonia sta vivendo, era stata intitolata “Missione in Amazzonia, un grido per la vita e per la pace”. Un cammino intervallato da rappresentazioni e canti animati da giovani e ragazzi. Un cammino che ha toccato molti temi cari a don Ruggero, alla Chiesa in Brasile, a Papa Francesco, che oggi sono i temi del Sinodo sull’Amazzonia, spesso evocato nei vari interventi, e vigorosamente sostenuto anche dal vescovo ausiliare di Manaus, Josè Albuquerque, che ha presieduto la messa conclusiva, concelebrata da tanti preti delle diverse aree missionarie di Manaus coinvolte.
E a proposito di Sinodo: portando il saluto del Vescovo Claudio, ho letto uno stralcio di una lettera che don Ruggero scrisse dopo un po’ che era arrivato a S. Etelvina: «Il mio cuore è colmo di gioia, gratitudine, fiducia e trepidazione, perché l’orizzonte ricco e variopinto di questa terra mi rivela la bellezza di Dio, il suo amore per la creazione e l’umanità, ma anche perché, attraverso il grido dei piccoli e dei poveri, ci è chiesto di cambiare il nostro modo di essere missionari: ascoltare, rispettare, contemplare, custodire ogni vita, con dignità e facendo della comunità cristiana un luogo di comunione e di speranza. Bisogna aprire le finestre lasciando passare aria e luce vitali, aprendo al nuovo di cui non si deve aver paura. La diversità è dono e ricchezza, non minaccia. I popoli dell’Amazzonia ci stanno insegnando una strada nuova, spronandoci a rivedere i nostri stili di vita, a stringere relazioni fraterne, a intraprendere cammini di evangelizzazione inculturata”.
Più di qualcuno è rimasto colpito da queste parole perfettamente in sintonia con il senso del Sinodo voluto da Papa Francesco: quasi come se don Ruggero avesse voluto sostenere e incoraggiare il popolo lì presente in questo cammino di Chiesa così significativo… e avesse cominciato a farlo già dieci anni fa, con lucidità sensibilità di pastore e di uomo che sapeva cogliere l’essenziale e la direzione da seguire.
Toccante la tappa nella casa di don Ruggero, dove i padri missionari che ora la abitano, con una cura e una delicatezza non scontata, hanno allestito un piccolo altare-memoriale, accanto alla sua stanza dove fu trovato morto, con alcuni suoi oggetti personali e per la celebrazione della Messa, diverse sue immagini, e i ritagli di giornali che davano la drammatica notizia. Il popolo che prega per don Ruggero e con don Ruggero è stata l’immagine di una Chiesa che non si è rassegnata, che porta nel cuore la fede in Gesù risorto e le grandi speranze di giustizia, di pace, di non violenza, di rispetto per la dignità di ogni persona, coltivate fino a 10 anni fa con forza dal nostro fratello e loro parroco pe. Rogério.
Dieci anni non sono pochi: vedere ora come rimane viva la memoria, dice che un seme di vangelo autentico è stato seminato, nei due anni scarsi di presenza fisica e soprattutto in quella brutale morte da innocente, che “fa piangere anche Dio”. Una memoria visibile nel nome “Pe. Rogério Ruvoletto” dato all’area missionaria, al centro culturale promosso dalla parrocchia, addirittura alla feira municipal (mercato municipale), per volontà degli abitanti del quartiere. Ma soprattutto una memoria visibile nell’impegno per la pace e la giustizia di tante persone convinte e toccate nel cuore da quel seme.
Questa memoria viva è vita e stimolo per ciascuno di noi, dentro questo misterioso legame che la storia luminosa e drammatica di don Ruggero ha saldato tra queste due terre, Padova e Manaus, così vicine spiritualmente seppure lontane fisicamente.
dal Brasile