Accompagnatori degli adulti. In ascolto della vita, immersi nel Vangelo
Questa domenica si tiene l’incontro diocesano a cui interviene mons. Erio Castellucci, vescovo di Modena-Nonantola e Carpi e presidente della Commissione episcopale per la dottrina della fede
Al cuore dell’incontro diocesano degli accompagnatori dei genitori – in programma questa domenica, dalle 15.30, sul canale Youtube della Diocesi – c’è un momento di riflessione sul tema “Dallo smarrimento alla speranza: la comunità ecclesiale in questi anni ’20”. Interviene mons. Erio Castellucci, vescovo di Modena-Nonantola e Carpi e presidente della Commissione episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi.
Il Covid sta segnando la vita di tutti... anche della Chiesa. Quali tracce di smarrimento emergono in questo tempo? Magari c’erano anche prima, ma la pandemia le ha esasperate... Cosa non possiamo – come Chiesa – non prendere in mano e in qualche modo “trasformarlo” per il bene?
«Credo che le tracce di smarrimento fossero presenti anche prima, a tutti i livelli. La pandemia ha acuito le crisi, causando ulteriori disagi: pensiamo solo, per restare al nostro Paese, ai quasi centomila morti per o con il Covid; ai milioni di persone contagiate; alle conseguenze psicologiche, sociali ed economiche. Però non è che prima andasse tutto bene: malattie, ingiustizie, paure, lutti erano presenti e purtroppo – è facile profetizzare – lo saranno anche una volta che saremo tutti vaccinati. Il fatto è che siamo vulnerabili, sempre, e facciamo fatica ad ammetterlo. Come Chiesa siamo pienamente inseriti nel mondo, e quindi anche noi siamo colti di sorpresa, impauriti, colpiti. Ma abbiamo un motivo di speranza che deriva dalla Pasqua di Gesù: è passato attraverso il sepolcro, ma è risorto. Le nostre comunità, specialmente le parrocchie, non si sono abbattute, ma stanno esprimendo una creatività mai vista, cercando di restare in tutti i modi possibili “vicino” alle persone».
Con che occhi guardare a questi anni ’20? Con che stile starci dentro? Come aiutare, in particolare gli adulti, a non perdere le opportunità di questo tempo?
«Mi pare che la condizione per starci dentro sia quella di imparare ad abitare la crisi. Vi sono momenti in cui è più acuta, e altri in cui è più latente: ma la crisi è la cifra della nostra esistenza. Pensiamo solo al primo ventennio di questo secolo, in cui in pratica abbiamo vissuto tutte le crisi possibili, esclusa la guerra mondiale (papa Francesco però parla della «terza guerra mondiale a pezzi»): la crisi terroristica, esplosa nel 2001 con l’attentato alle Torri Gemelle; la crisi economica, esplosa nel 2008 con la bolla finanziaria; la crisi migratoria, esplosa dopo le primavere arabe dalla fine del 2010; e poi la crisi ecologica, divenuta coscienza mondiale da qualche anno; e ora la crisi sanitaria del Covid-19. Non si tratta di fenomeni nuovi, però in occasione di qualche evento acuto emergono e diventano fenomeni planetari. “Abitare la crisi” non significa rassegnarsi passivamente, ma viverla anche come opportunità di crescita. La domanda più importante, dopo quella che tutti formuliamo – cioè “come ne possiamo uscire?” – è: che cosa possiamo imparare? Rispondo per me, senza pretendere che valga per tutti: cerco di imparare a distinguere meglio l’essenziale dall’accessorio, ad apprezzare di più le relazioni che contano e perdere meno tempo nelle polemiche, a ringraziare per i doni che ho ricevuto e che non sono affatto da dare per scontati, come dimostra il fatto che sono ora messi in pericolo (vita, salute, affetti, beni, libertà, fede...). Personalmente, se riuscissi a imparare almeno queste cose dall’esperienza della pandemia, sarei contento».
Parliamo di speranza... Di che cosa è fatta oggi? Come coltivarla nella vita personale e delle comunità cristiane?
«La speranza è stile e pilastro insieme. In quanto stile, la sua versione laica è l’ottimismo: ci sono persone portate a vedere sempre il bicchiere mezzo pieno e altre quello mezzo vuoto; le prime sono più fortunate, o forse meglio educate, perché riescono ad apprezzare ciò che hanno e a gioirne; le altre rischiano di perdere le ore più belle della loro vita lamentandosi e recriminando. Ma la speranza, oltre a uno stile, è in effetti un pilastro. Qui però non bastano più le categorie laiche e psicologiche: occorre un fondamento teologico. San Paolo ce lo offre con queste parole: “La speranza non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei vostri cuori per mezzo dello Spirito che vi è stato dato” (Rom 5,5). La speranza proviene ultimamente dall’amore di Dio, l’unico amore di cui si può dire che è più forte della morte. Questa è la speranza, l’unica, che “non delude”: e non ci riguarderà solo un giorno, ma ci riguarda già ora, perché sostiene il cammino della vita terrena. Però l’amore, carburante del cammino terreno, non si vive da soli, altrimenti sarebbe egoismo. L’amore per definizione comporta una relazione: il percorso della vita è tanto più sostenuto dalla speranza, quanto più è legato ad altre persone, con rapporti significativi, con relazioni segnate dal “dono”».
Pur dimostrando grande resilienza e creatività, le comunità cristiane sono ferite dal tempo di pandemia. Verso dove investire? Che sfide cogliere? Come, in particolare, avere cura della vita degli adulti? Come accompagnarli a “occuparsi” della propria vita di fede?
«L’investimento sarà da studiare assieme, secondo le modalità che papa Francesco indica come “sinodali”. La ripresa delle comunità cristiane non dipenderà semplicemente dalla fantasia o dal genio di singoli pastori, ma dalla possibilità di ascoltare le persone, anche attraverso luoghi e momenti (in presenza o digitali) in cui possano emergere emozioni, sentimenti, esperienze, idee. Molte persone, anche non quelle abitualmente presenti nelle nostre parrocchie, hanno avvertito domande profonde nel loro cuore, domande di umanità e di fede che non si possono mettere tra parentesi. Sono ritornate in primo piano le grandi questioni esistenziali... Il Vangelo ha qualcosa da dire e da dare in merito: ma per poterlo innestare nella vita, occorre la pazienza di ascoltare prima la vita. “Di che cosa stavate parlando lungo il cammino?” chiede Gesù ai due discepoli di Emmaus; e solo dopo che hanno tirato fuori la loro delusione e il loro dolore, Gesù annuncia la Pasqua. In sintesi: fare emergere in modo sinodale le esperienze vissute, per immergerle nel Vangelo di Gesù».