Un appuntamento storico, con un’impressionante partecipazione diffusa. López (Celam): “Senza ascolto non c’è sinodalità”
“Tutti noi siamo discepoli missionari in uscita” è il titolo dell’assemblea ecclesiale dell’America Latina e Caraibi, che si svolgerà dal 21 al 28 novembre a Città del Messico, con una presenza ridotta in loco e con ulteriori collegamenti virtuali da tutto il continente. Un appuntamento per certi aspetti “storico”, caratterizzato da capillarità di consultazione e partecipazione diffusa di tutto il Popolo di Dio. Lo si può definire il primo grande evento ecclesiale dell’era Covid, conseguenza di un metodo di lavoro già vissuto per il Sinodo dell’Amazzonia, oltre che un “anticipo” del Sinodo dei vescovi sulla sinodalità
“Tutti noi siamo discepoli missionari in uscita” è il titolo dell’assemblea ecclesiale dell’America Latina e Caraibi, che si svolgerà dal 21 al 28 novembre a Città del Messico, con una presenza ridotta in loco e con ulteriori collegamenti virtuali da tutto il continente. Un appuntamento per certi aspetti “storico”, caratterizzato da capillarità di consultazione e partecipazione diffusa di tutto il Popolo di Dio.
Lo si può definire il primo grande evento ecclesiale dell’era Covid, conseguenza di un metodo di lavoro già vissuto per il Sinodo dell’Amazzonia, oltre che un “anticipo” del Sinodo dei vescovi sulla sinodalità.
Anche se dall’ultima Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano, quella di Aparecida, sono già trascorsi 14 anni, non si tratterà di una nuova Conferenza generale, ma di un’Assemblea ecclesiale (con vescovi, sacerdoti, religiosi, laici) che ha l’obiettivo proprio di riprendere e riattualizzare il mandato di Aparecida. Viene, così, ripresa, un’indicazione di papa Francesco, che ha chiesto anche che l’Assemblea si svolga “con tutto il Popolo di Dio, senza esclusioni”. Ed è ciò che sta avvenendo. Impressionante, nonostante i limiti della pandemia, il processo di ascolto in preparazione all’Assemblea.“Perché senza ascolto non c’è sinodalità”,
avverte Mauricio López, coordinatore del Comitato di ascolto a nome del Celam, laico già in prima linea nel Sinodo dell’Amazzonia, quando era segretario esecutivo della Repam. È la persona che sta coordinando questa fase, il cui limite è stato fissato per la fine di agosto.
Come si sta sviluppando il processo d’ascolto verso l’Assemblea ecclesiale? Sta rispettando le attese?
La prima cosa da dire è che tutto parte dalla richiesta che il Papa ci ha rivolto, perché si tratti di un autentico processo ecclesiale, in senso ampio, senza esclusioni. Il cammino d’ascolto è stato pensato appunto per garantire la partecipazione il più ampia possibile del Popolo di Dio. Devo dire che, effettivamente, l’ascolto si sta rivelando un momento di reciprocità.
La Chiesa manifesta la sua presenza, ma chiede la vita, la testimonianza di vita del popolo di Dio, nel suo sensus fidei. E il popolo di Dio offre un apporto imprescindibile per questo cammino.
L’ascolto non può essere genuino e pieno senza la partecipazione ampia del Popolo di Dio, dei fedeli laici, di coloro che vivono ai margini, alle frontiere. Abbiamo esteso di due mesi la fase d’ascolto, tenendo conto delle esigenze dei fedeli di organizzarsi, di ricevere le adeguate informazioni. Solamente come Commissione per l’ascolto abbiamo organizzato più di trecento appuntamenti informativi, di animazione, con parrocchie, diocesi, Conferenze episcopali, congregazioni religiose.
Si tratta di una modalità di vivere un evento ecclesiale in modo diffuso…
Questa assemblea nella sua preparazione affronta varie sfide, a partire dalla realizzazione dello stesso evento, che viene preparato in modo semplice, senza implicare particolari sforzi economici. Stiamo parlando di circa mille delegati che parteciperanno a distanza, dai luoghi dove vivono. Da questa modalità ci arriva una lezione molto importante, vediamo un dinamismo che permette la partecipazione di tutto il continente, con un minore impatto anche ambientale, oltre che economico, che favorisce la comunione dei beni.
Quali sono le grida, le richieste che stanno emergendo dal Popolo di Dio che abita il Continente?
C’è un riferimento, il Documento di Aparecida, che con chiarezza presenta sfide non solo pastorali. A ciò si aggiunge la situazione attuale, soprattutto rispetto alla pandemia. Le grida vanno nella linea della realtà socioculturale.
L’attuale pandemia viene interpretata come il segno di un cambiamento d’epoca, essa ha rivelato altre pandemie e sfide, dall’impoverimento di vaste parti della popolazione, alle mancanze del sistema sanitario pubblico, al modello sociale che va contro la persona umana, a causa della cultura dello scarto. Ancora, segnalo l’ascolto del clamore della terra, il cui sfruttamento arriva a forme di non ritorno, la violenza crescente nella società, nelle famiglie, negli spazi istituzionali e politiche, il divario educativo, il tema dei migranti e della tratta, nuovi volti delle migrazioni e della xenofobia, l’attenzione ai popoli indigeni e afro.
Viviamo la sfida dell’interculturalità e di come vivere tutti insieme una piena cittadinanza. Assistiamo alle nuove opportunità della comunicazione sociale globale, ma anche gli effetti di una comunicazione frammentata, nel contesto della post-verità. Ancora, a livello ecclesiale assistiamo all’avanzare della secolarizzazione e alla crescente frammentazione delle esperienze religiose, con la crescita delle chiese pentecostali e della cosiddetta teologia della prosperità, che rompe la prospettiva della solidarietà che noi consideriamo essenziale, a partire dalla Dottrina sociale. Un’altra sfida è quella della pastorale delle grandi città. E poi i giovani, le donne e la loro partecipazione nella Chiesa e nella società, il dolorosissimo flagello degli abusi in ambito ecclesiali, il clericalismo, la sfida di nuovi ministeri.
Qual è il legame tra ascolto e sinodalità?
Direi che
l’ascolto è l’elemento fondamentale, non è tanto un legame, senza ascolto non c’è sinodalità, senza un ascolto pieno, reciproco e con la partecipazione di tutto il Popolo di Dio, in linea con il Concilio Vaticano II, non c’è sinodalità.
La Costituzione apostolica di papa Francesco Episcopalis Communio parla con molta forza di ciò, dice che ogni processo sinodale deve iniziare e culminare con il popolo di Dio. Come si rende operativa la partecipazione del popolo? Con l’ascolto! In questo documento del Papa, purtroppo poco conosciuto, si parla di chiedere allo Spirito Santo il dono dell’ascolto, per ascoltare con Dio il grido dei popoli, e al tempo stesso per entrare nel popolo, e trovare la presenza dello Spirito Santo nel popolo e nelle sue grida. Non c’è sinodalità senza ascolto, ma quest’ultimo deve avere il profilo del discernimento, non deve trattarsi di un ascolto in una sola direzione, ideologico.
Già un cammino simile, con una capillare consultazione, è stato vissuto per il Sinodo dell’Amazzonia. A quasi due anni di distanza, quale esito ha avuto questo metodo?
Il Sinodo dell’Amazzonia è stato prima di tutto il frutto di un lungo processo ecclesiale, di una Chiesa pellegrina, incarnata, profetica e anche martire. Il Papa ha parlato non a caso dell’Amazzonia come bioma, ma anche come spazio interculturale, come luogo teologico, ma anche come luogo di esperienza pastorale per aiutare tutta la Chiesa nella riflessione sulla sinodalità. In quest’ottica, credo che l’esito più grande del Sinodo sia stato quello di abbracciare una dimensione territoriale che prima non aveva nella Chiesa un riconoscimento formale.
Si è trattato di un modo di procedere irreversibile, di ascolto del Popolo di Dio, di creazione di strutture specifiche per rispondere agli appelli di conversione interna.
Il Sinodo amazzonico ha prodotto un’attivazione della Chiesa in questo territorio, un rafforzamento dei legami con le comunità e i popoli originari, in questioni concrete, la creazione di strutture nuove, come la Ceama, la Conferenza ecclesiale amazzonica, e poi questioni complesse come le ministerialità, l’eventuale rito amazzonico, il diaconato permanente sono al vaglio di commissioni di lavoro della Ceama. È ormai chiaro che tutto il dibattito ha trasceso le questioni amazzoniche.
Questo processo d’ascolto può essere un importante segno anche per tutta la Chiesa e per il prossimo Sinodo dei vescovi, incentrato appunto sulla sinodalità?
Il processo dell’Assemblea ecclesiale già è connesso in modo organico al Sinodo sulla sinodalità. Da un lato notiamo che c’è convergenza nello sguardo, a partire dal magistero del Papa, dall’altro, concretamente, ci sono tre membri delle Commissioni del Celam che fanno parte della Commissione teologica del Sinodo, io stesso sono il membro latinoamericano della Commissione metodologica. Più ancora, ci è stato chiesto, in alcuni incontri con il cardinale Grech e i suoi collaboratori, di condividere la nostra esperienza latinoamericana, la nostra metodologia, quello che abbiamo appreso, anche se la nostra è un’esperienza non perfetta, man mano anche noi stiamo apprendendo…
Ma evidentemente è sembrato che la nostra esperienza, umilmente, sia significativa nell’esperienza di questo Sinodo.