Povertà. Mons. Battaglia: “Come Chiesa impegnati a non far mancare la speranza ai giovani”
“Se è vero che la Chiesa è chiamata a essere un ospedale da campo per chi è ferito dalla vita – come spesso ci ricorda Papa Francesco –, è vero anche che deve essere un luogo di prevenzione, possibilità di futuro, affinché alcune ferite siano prevenute ed evitate”: lo dice al Sir l’arcivescovo di Napoli, parlando dell’impegno della diocesi partenopea a favore dei giovani, a 360 gradi
Sono tanti i bisogni di Napoli e della sua area metropolitana. Sono tante le persone che vivono in condizione di povertà, anche giovani. Di fronte a queste difficoltà la Chiesa tende una mano, ascolta l’altro, cerca di dare risposte, come dimostra la costante attenzione dell’arcivescovo di Napoli, Mimmo Battaglia, che sarà creato cardinale nel Concistoro del 7 dicembre, verso il disagio dei giovani. Tante le iniziative promosse dall’arcivescovo per creare un futuro migliore per i giovani della città. Ne parliamo con lui, in occasione dell’VIII Giornata mondiale dei poveri, che ricorre domenica 17 novembre.
Eccellenza, il Papa, per la Giornata mondiale dei poveri, ci invita quest’anno a fare nostra la preghiera dei poveri e pregare insieme a loro. Tra i poveri di oggi, ci sono anche i giovani, protagonisti, purtroppo, negli ultimi tempi di tragici fatti di cronaca nera. Lei a Napoli ha un’attenzione particolare per loro: quando li incontra quali sono le maggiori difficoltà che i giovani le rappresentano?
I giovani rappresentano essi stessi, con la loro sola presenza, una “difficoltà” perché il compito a cui la vita chiama gli adolescenti e i giovani è quello di costruire la propria identità, il proprio progetto, ma questo è difficile in un tempo in cui la mentalità competitiva e individualistica, legata a un’economia senza volto e senza cuore, schiaccia l’uomo e i suoi sogni.
Credo che il disagio giovanile di questo tempo risieda tutto qui: essere giovani significa essere un progetto ma in questo tempo sembra che nessuno dia loro spazio e fiducia per realizzarlo.
Quando incontro i giovani e tocco con mano la loro frustrazione, la loro rabbia, cerco di non fermarmi ai toni e alle parole, ma di leggere tra le righe, di andare oltre quelle reazioni a volte “di pancia” per accogliere la loro sofferenza, la loro difficoltà a fiorire in una società che tenta di recidere i boccioli, soprattutto dei più fragili e marginali.
Ci sono progetti della Chiesa di Napoli per aiutare i giovani a non restare nella povertà materiale?
I progetti sono diversi, proprio in questi giorni stiamo presentando alla città due importanti progetti che sono stati in “gestazione” negli scorsi mesi, progetti attraverso cui la nostra Chiesa, partendo anche da diverse esperienze sociali che si sono dimostrate fruttuose ed efficaci, metteranno i giovani al centro.Ad esempio, abbiamo istituito un Ramo Ets (Ente del Terzo Settore) che proprio alle porte di Napoli, nei pressi della stazione, darà vita a un’opera sociale, chiamata Casa Bartimeo, in cui, tra i vari progetti, ci sarà un’attenzione particolare ai ragazzi, con sostegni importanti a livello educativo, sanitario, psicologico. Un altro progetto sta per partire attraverso il Museo diocesano diffuso, che metterà al centro la riqualificazione dei beni culturali e artistici della nostra Chiesa con lo scopo di creare occupazione per i giovani, soprattutto per quelli a rischio di marginalità sociale. Però, al di là di questi importanti progetti diocesani,
la Chiesa di Napoli è da sempre sul campo dell’educazione e della prevenzione, grazie agli oratori, alle parrocchie, ai tanti presbiteri, consacrati e consacrate, laici, che ogni giorno danno la vita per i ragazzi, spesso diventando gli unici punti di riferimento in contesti dove a volte manca tutto, evitando in questo modo che venga a mancare anche la speranza!
Per i giovani c’è anche “povertà di futuro”. Napoli, purtroppo, spesso è teatro di violenza che vede protagonisti anche giovanissimi. Proprio nelle ultime settimane sono stati uccisi tre giovani a Napoli e provincia: Emanuele Tufano, Santo Romano e Arcangelo Correra. Perché tanta violenza e così poco rispetto per il valore della vita? Si potrebbe dire che c’è una povertà anche umana, da questo punto di vista?
Non parlerei di povertà umana, ma anche in questo caso di povertà educativa, di povertà spirituale. Questo perché sono convinto che tutti i nostri ragazzi, che tutti gli uomini, hanno dentro il proprio cuore una sorgente di bellezza, di autentica umanità, di empatia, di bene ma se non c’è nessuno che la tira fuori, se non c’è nessuno che li aiuta a coltivare questi germi di bene, esce fuori solo il peggio, quel peggio che si impara in strada, sui social, davanti alla tv.
Il nostro dovere è invece quello di non stancarci mai di cercare e trovare il bene racchiuso nel loro cuore. È l’unica via possibile.
In questi scenari di violenza giovanile, secondo lei, ha un peso anche la camorra?
Certamente sì, ma dobbiamo intenderci su cosa è camorra. Se intendiamo la camorra esclusivamente come clan, come organizzazione strutturata, non credo che molte di queste azioni violente e omicide siano collegabili in modo diretto ad essa.
Ma la camorra è anche cultura, è anche influenza educativa, è anche un modello appetibile per chi vive in certi contesti e in questo senso sì, c’entra e come.
Inoltre, c’è anche un grande problema su cui occorre riflettere e intervenire con urgenza e credo, ma per solo buon senso, che in questo potrebbe essere coinvolta la camorra: quello del traffico di armi, del facile accesso di minorenni ad armi sofisticate e terribili. Non parliamo più solo di coltelli, ma di pistole, pistole anche sofisticate e su questo credo sia difficile che i clan non ne sappiano nulla.
La Chiesa cosa può fare per arginare questo “tipo di povertà” che toglie i sogni, la speranza e il futuro ai giovani? Da qualche anno lei ha lanciato il Patto educativo per Napoli. Come sta procedendo? Sta dando i frutti che lei sperava?
Se è vero che la Chiesa è chiamata a essere un ospedale da campo per chi è ferito dalla vita – come spesso ci ricorda Papa Francesco –, è vero anche che deve essere un luogo di prevenzione, possibilità di futuro, affinché alcune ferite siano prevenute ed evitate.
Per questo a Napoli come Chiesa abbiamo lanciato un appello per il Patto educativo, un processo anzitutto culturale rivolto a tutti coloro che si occupano di bambini, adolescenti, giovani, affinché facciano rete sul serio, creando un “noi” che superi la logica dell’individualismo e abbracci quella della cooperazione, in modo da raggiungere tutti i ragazzi, soprattutto quelli a rischio.
È un processo difficile, complesso, ma che porteremo avanti, senza stancarci, nella logica evangelica del lievito chiamato a far fermentare l’intero impasto sociale! Ci sono dei primi frutti: realtà che si aggregano, persone che non si conoscevano e che ora lavorano insieme, eroi solitari che ora hanno creato legami e comunità “eroiche”.
Vede, Napoli è piena di gente per bene, di educatori, associazioni, istituzioni che ce la mettono tutta ogni giorno, in modo davvero encomiabile, ma la pecca un po’ di tutti – a volte anche la nostra – è quella di andare per conto proprio, di pensare al proprio orticello, brand, progetto.
Il paradosso è che la criminalità fa sistema e noi no. Piano piano stiamo cercando di invertire questa logica.
Ripeto, non è facile. Ma occorre provarci, nella consapevolezza che i processi culturali ed educativi richiedono tempo.