Natale, malgrado la guerra

La festa della vita, scommessa possibile nei Paesi dove manca la pace? Testimonianze sofferte da Libano, Ucraina, Myanmar, Sudan e Palestina

Natale, malgrado la guerra

Natale, festa della vita, della fratellanza, della famiglia. Ma soprattutto della pace. Una speranza più forte là dove la guerra continua da troppo tempo tra distruzioni e lutti: Paesi svuotati, case disabitate raccontano l’insicurezza di chi ha perso tutto, ma che a Natale si riunisce nella preghiera e diventa comunità-presepe intorno al Bambino che nasce. Il Natale delle “guerre dimenticate” è un momento di fedeltà al Vangelo per i missionari e le missionarie che non abbandonano mai la loro gente. Sono loro a raccontarci la Notte Santa in cui l’oscurità aspetta la vittoria della speranza.

Libano: per la gioia negli occhi dei bambini. “Natale in un Paese in guerra assume un significato speciale. Il Sud del Libano, la periferia Sud di Beirut, la Valle della Bekaa e molte altre regioni stanno vivendo gravi tensioni e scontri tra Israele e Hezbollah – racconta suor Mary Stephanos superiora provinciale per il Libano delle suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret –. Alcuni hanno perso i propri cari, altri hanno visto le loro case devastate dai bombardamenti, ma questa tragedia non ha impedito alla popolazione di organizzarsi per sopravvivere, e di credere che la vita è più forte di ogni segno di morte.

Famiglie e volontari, Chiesa, comunità religiose e associazioni si impegnano affinché il Natale sia davvero una festa di solidarietà, condivisione e pace.

Decine di mani si sono impegnate a incartare regali per i bambini bisognosi. Basta poco perché la magia del Natale faccia brillare la luce negli occhi dei più piccoli, cristiani e non. I cesti di prodotti alimentari e coperte sono un dono prezioso che scalda il cuore e il corpo; le porte si aprono per accogliere i rifugiati e offrire loro un pasto festivo; le scuole private accolgono gli studenti delle pubbliche per permettere loro di continuare il loro anno scolastico. È Natale, ogni volta che asciughiamo una lacrima dagli occhi di un bambino”.

Ucraina: pace in terra agli uomini di buona volontà. Terzo Natale di guerra per l’Ucraina, un momento di durissima prova e di incertezza per il popolo ucraino e per il mondo, come racconta don Marko Semehen, coordinatore dei greco-cattolici della Basilica di Santa Sofia a Roma: “Viviamo sempre nella speranza di un miglioramento, dell’arrivo della pace, speriamo che la luce del Bambino Gesù illumini la mente delle persone da cui dipende la guerra, non solo in Ucraina ma in tutti i Paesi del mondo. Come Maria e Giuseppe in fuga dal pericolo della morte, anche in Ucraina ci sono migliaia di profughi che hanno dovuto abbandonare la loro terra e sono stati accolti nel nostro Paese, in Europa e in altre nazioni. Le immagini di distruzione e morte delle cittadine sotto i bombardamenti lungo la linea di confine, sono fin troppo eloquenti. La guerra ha moltiplicato i rifugiati dalle zone di guerra che oggi sono praticamente deserte.

La guerra però ha costruito molti ponti tra le persone, anche sul piano religioso, tra cattolici e ortodossi.

Bisogna festeggiare malgrado la guerra, perché la gioia è un segno di Dio, anche nelle città martiri c’è qualche luce accesa, segno dell’amore degli ucraini verso la loro terra che non vogliono abbandonare. Anche per amore dei loro cari defunti che nel Natale vengono ricordati dalle famiglie”.

Myanmar: nei villaggi in pericolo. La vita è precaria nei villaggi intorno Pekon, nel cuore della gente ci sono paura e dolore per i lutti subiti. Anche in questo Natale, ancora segnato da forti tensioni e violenze, le capanne bruciate di alcuni villaggi sono un triste monito. Nel settembre scorso, alcuni religiosi raccontano di attacchi aerei, con molte bombe che hanno distrutto le misere abitazioni, e ucciso alcune persone, tra cui sette bambini. Negli stessi giorni altri quattro campi profughi sono stati bombardati dagli aerei della Giunta militare, provocando ulteriori vittime, decine di feriti e devastazione. La notizia di questo ennesimo atto di crudeltà si è diffusa rapidamente, causando ulteriore tristezza e acuendo il trauma di vivere in un ambiente così insicuro e senza speranza. “La gente continua a domandarsi il perché di tanta malvagità – dicono i religiosi –: perché bombardare i campi profughi? Perché colpire nella notte? Nelle capanne c’è solo l’essenziale per sopravvivere, a volte nemmeno quello. Perché distruggerlo? Un volontario ha notato dei ragazzini intenti a recuperare quaderni, libri e altro materiale scolastico. Un gesto che rivela quanto sia importante offrire ai giovani la possibilità di studiare, anche in una realtà tanto miserabile. Molti bambini vorrebbero ricevere un quaderno e una matita per Natale. Ma non ci sono regali in questo Natale di silenzio”.

Khartoum: la cappella nel garage. Il Bambino torna a nascere dietro le quinte di uno dei tanti conflitti dimenticati, come quello che in Sudan vede contrapposte le Forze armate regolari (Saf, guidate dal generale Abdel-Fattah Burhan) alle Forze di supporto rapido (Rsf, comandante da Mohamed Hamdan Daglo). Nella missione di Khartoum suor Teresa Roszkowska racconta l’atmosfera di un giorno speciale “Nel garage trasformato in cappella arrivano molte persone che vengono in luoghi nascosti attorno alla nostra casa. Per tutti i musulmani e cristiani, grandi e piccoli, siamo riuscite a preparare sacchettini con dolci e biscotti, palloncini per i bambini: è una vera gioia guardare i loro occhi. Ma non c’è molto tempo per la festa, per la paura dei bombardamenti e delle esplosioni nella zona. Abbiamo paura ma la preghiera ci dà forza. Vengono a farci visita per il Natale anche i militari, soldati musulmani che sono animati da buoni sentimenti verso di noi. Portano dolci per i bambini e cibo per tutti”.

Palestina: le piccole luci di Betlemme. “Betlemme, la piccola città che vide la nascita di Gesù. Betlemme la città dove ogni giorno è Natale, la città di ogni cittadino del mondo che viene a visitarla. Qui non è facile parlare di pace, di gioia, di luce e di festa. Il popolo che vive a Betlemme, per la maggior parte palestinesi, vive il Natale, con la sofferenza dei compatrioti. La guerra è solo motivo di pianto, rabbia e preghiera silenziosa, viviamo un Natale in silenzio, un Natale nella penombra”, scrive una Figlia di Maria Ausiliatrice della cittadina palestinese. “A Betlemme le luci della festa sono spente. Come un grido silenzioso la luce del cuore da Betlemme arrivava fino a Nazareth e a Gerusalemme, fino ad ogni famiglia cristiana che non può celebrare il Natale con la gioia di sempre. Con la speranza che il Principe della pace arrivi ad ogni cuore, ad ogni angolo della Terra Santa.

Ci sono meno decorazioni esterne, ma preghiere più profonde, abbracci più sinceri: i nostri presepi raccontano la sofferenza delle mamme in lutto, dei bambini senza canti.

Troppo forte il rumore delle bombe e del pianto di chi ha sentito la paura nelle proprie ossa. Ma il Natale non può essere sepolto tra le macerie, tra le bombe. Per chi crede, il Natale, vince ancora le tenebre e nelle case di ogni persona che sa che la speranza non sarà mai distrutta per chi spera nel Dio-amore fatto uomo per noi”.

Miela Fagiolo D’Attilia*

*Popoli e Missione

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Fonte: Sir