Israele e Hamas. Sozza (Emergency): “A Gaza aiuti con il contagocce”
Intervista a Stefano Sozza, capo missione di Emergency a Gaza. Rientrato da pochissimi giorni in Italia, dopo circa 4 mesi trascorsi nella Striscia di Gaza per avviare la costruzione di una clinica per fornire assistenza di base alla popolazione, conferma: "La situazione a Gaza permane gravissima. Gli aiuti arrivano con il contagocce". A metà gennaio operativa la clinica di Emergency a Khan Yunis
“La situazione all’interno della Striscia di Gaza permane gravissima e può essere considerata ai limiti dell’umano”. Gli ultimi bollettini parlano di quasi 45mila morti e di circa 107mila feriti. Un bilancio in continua crescita che non tiene conto, dice al Sir, Stefano Sozza, capo missione di Emergency a Gaza, “delle moltissime, non quantificabili, vittime che sono ancora sotto le macerie. Recuperarle è molto difficile perché c’è mancanza di carburante necessario a far funzionare i mezzi meccanici come pale e scavatori. La benzina, quando si riesce a reperirla al mercato nero, costa 15 euro al litro”.
Sozza è rientrato da pochissimi giorni in Italia, dopo circa 4 mesi trascorsi nella Striscia di Gaza per avviare la costruzione di una clinica per fornire assistenza di base alla popolazione. Il sistema sanitario di Gaza è al collasso: sono parzialmente funzionanti meno della metà dei 36 ospedali operativi prima del 7 ottobre 2023.
“Mancano medicine e personale medico mentre è enorme il flusso di malati che chiedono cure anche per patologie che potrebbero essere trattate ambulatorialmente”.
Nessun miglioramento. “In questi ultimi 4 mesi non ho visto nessun miglioramento relativo alle condizioni di vita e di sicurezza della popolazione che subisce e vive la guerra sulla propria pelle tutti i giorni” afferma Sozza che conferma la difficoltà di ingresso a Gaza degli aiuti umanitari.
“Cibo, acqua, medicine, kit igienici ed altri aiuti, continuano ad entrare con il contagocce e in quantità tale da non soddisfare i bisogni della popolazione”.
Le difficoltà principali che rallentano e ostacolano il loro arrivo sono due: “la prima – dichiara Sozza – è l’iter burocratico da seguire per avere il nulla osta all’ingresso da parte di Israele. Le richieste da parte di organismi internazionali e ong sono moltissime ma il rilascio dei permessi, da parte del Cogat, (unità del Ministero della Difesa israeliano impegnato nel coordinamento delle questioni civili tra il Governo di Israele e l’Autorità palestinese, ndr.) è lento e può richiedere mesi”. Il Cogat, spiega il capomissione di Emergency, “verifica ogni prodotto sulla base di una lunga lista, nota come ‘dual use list’, che annovera materiali potenzialmente pericolosi per Israele se dovessero cadere in mano ad Hamas che potrebbe usarli in chiave bellica. Rientrano in questo campo oggetti affilati come coltelli, bisturi chirurgici e altre attrezzature mediche come filtri di osmosi necessari per purificare l’acqua, che Hamas potrebbe usare per approvvigionare di acqua i suoi miliziani”. In questi casi, continua Sozza, “il Cogat richiede informazioni più approfondite per assicurarsi che questi materiali arrivino alla giusta destinazione finale. Ci possono volere due o tre mesi per ottenere ‘semaforo verde’ all’ingresso nella Striscia”. La seconda difficoltà, invece “è legata ai saccheggi dei camion di aiuti, che hanno ottenuto il permesso ad entrare a Gaza, da parte di famiglie e gang criminali palestinesi”.
Il progetto Emergency. “Nonostante la situazione disastrosa il nostro progetto sta andando avanti – spiega Sozza –. Dopo aver identificato la zona, nel governatorato di Khan Yunis, abbiamo iniziato la costruzione della nostra clinica. Pensiamo di essere operativi per la metà di gennaio. Nella nostra struttura offriremo oltre all’assistenza medica di base anche un servizio di stabilizzazione di pazienti con traumi, il pronto soccorso e ambulatori pediatrici e per la salute riproduttiva della donna (accompagnamento pre e post parto)”. Emergency sta facendo entrare staff sanitario internazionale che si occuperà anche delle selezioni dei sanitari locali. “A pieno regime – afferma Sozza – pensiamo di avere circa una trentina di colleghi di Gaza e dai 6 agli 8 medici ‘internazionali’ che verranno soltanto per coaching e training e per supervisionare l’attività”. Inoltre, aggiunge, “stiamo ‘negoziando’ l’invio in un ospedale a Khan Yunis, il Nasser hospital, di un team medico esperto in trauma e chirurgia di guerra per trattare pazienti feriti. Nel frattempo, abbiamo deciso di supportare anche una clinica già esistente. Da novembre siamo operativi in un centro di salute primaria nell’area di al-Mawasi (Khan Yunis), insieme ad una ong palestinese, dove vengono visitati circa 170 pazienti al giorno. I nostri medici e infermieri internazionali fanno coaching allo staff gazawo ma stiamo apportando anche dei miglioramenti alla struttura che è stata costruita molto velocemente per dare soccorso immediato alla popolazione. La zona, infatti, è circondata da campi di sfollati”. Oggi la maggior parte della popolazione gazawa rimane concentrata nella zona centrale della Striscia mentre nel nord e nel sud ci sono solo poche persone rimaste.
Sostegno psicosociale. Nella Striscia di Gaza non ci sono solo feriti da colpi d’arma da fuoco, esplosioni e bombe ma anche persone traumatizzate psicologicamente che devono essere curate. “I bisogni oggi a Gaza sono a 360° gradi – conferma Sozza -. Siamo presenti a livello primario per trattare patologie legate alle condizioni di forte miseria in cui vivono i gazawi (gastroenteriti, problemi respiratori, infezioni, scabbia, pidocchi). Ma è urgente fornire anche supporto psicosociale per ‘curare’ le ferite più profonde, quelle psicologiche. Ci sono tantissimi bimbi a Gaza che nascono e crescono sotto stress continuo. Nelle nostre due cliniche identifichiamo le persone che hanno bisogno di aiuto psicologico e le inviamo ad altre organizzazioni che si occupano di questo tipo di terapia. Facciamo lo stesso per i casi malnutrizione e per la violenza contro le donne”. Rientrato in Italia Sozza non dimentica Gaza:
“difficile dimenticare Gaza dopo aver visto queste che continuano ad accadere. Spero che le voci sempre più ricorrenti di un possibile cessate il fuoco si concretizzino al più presto. È ora che i gazawi tornino a vivere una vita più dignitosa senza andare a dormire temendo di non risvegliarsi”.