Mons. Chung (Seul e Pyongyang), “la speranza in Corea ha il volto dei giovani e dei diritti umani fondamentali”
Il Giubileo della Speranza in Corea ha il volto della democrazia, del rispetto dei diritti umani fondamentali e dei giovani. E’ l’arcivescovo di Seoul e Amministratore apostolico di Pyongyang, mons. Peter Soon-taick Chung, a parlare al Sir di come la Corea si appresta a vivere il Giubileo della Speranza tra proclamazione di una legge marziale, processo di impeachment e divisione tra Nord e Sud. Riguardo alla Corea del Nord l’arcivescovo confida: “sembra che il messaggio edificante del Giubileo proclamato dal Santo Padre non sia stato diffuso tra la popolazione nordcoreana. In un ambiente così estremamente regolamentato, l'espressione più profonda di 'speranza' per i cittadini potrebbe benissimo essere declinata con il ripristino dei diritti umani fondamentali”.
Il Giubileo della Speranza in Corea ha il volto della democrazia, del rispetto dei diritti umani fondamentali e dei giovani. “Nelle attuali gravi circostanze in Corea, sono rimasto particolarmente colpito dal ruolo pro-attivo assunto dai giovani nell’articolare le proprie proposte e coltivare una cultura di protesta pacifica”. E’ l’arcivescovo di Seoul e Amministratore apostolico di Pyongyang, mons. Peter Soon-taick Chung, a parlare al Sir di come la Corea – paese fortemente provato da una crisi politica e schiacciato da una divisione storica – si appresta a vivere il Giubileo della Speranza. Sede della prossima Gmg 2027, l’arcivescovo di Seul parla subito dei giovani, della loro capacità di dare voce alla democrazia all’interno di “un’atmosfera festosa e non violenta. Che si tratti di agitare bastoncini luminosi a sostegno dei loro gruppi di idol preferiti, di cantare in gruppi K-POP o di studiare o partecipare alle proteste, questi giovani emanano una “luce di speranza” rivolta alla pace e alla democrazia, piena di energia”. E aggiunge:
“Alla luce dei recenti eventi, sono convinto che i giovani coreani, nonostante le innumerevoli sfide e prove che incontrano, stiano perseguendo la speranza con autentica passione”.
La Corea sta vivendo un momento difficile della sua storia. Innanzitutto, la crisi politica e le sue profonde conseguenze sulla vita delle persone.
Proprio all’inizio del nuovo anno secondo il calendario liturgico, la nostra nazione si è confrontata con un’inaspettata ondata di tumulti politici. Tuttavia, anziché soccombere alle avversità di questo periodo tumultuoso, il nostro popolo si è impegnato nello sforzo pacifico di riscrivere la narrativa di una restaurazione “democratica”. L’improvvisa dichiarazione di legge marziale da parte del presidente Yoon è stata annullata con successo attraverso processi democratici istituiti all’interno dell’Assemblea nazionale, che sta procedendo ora la procedura di impeachment verso il presidente. In questo modo, la popolazione ha dato prova di impegnarsi seriamente a ricercare soluzioni pacifiche ai dilemmi democratici.
Cosa significa, in questo delicato contesto, “speranza” per il paese?
La speranza assume un significato ancora più profondo in tempi di difficoltà. Storicamente, la nostra nazione ha sopportato molteplici crisi politiche, ogni volta cercando speranza ed esplorando nuove strade da percorrere. Per i fedeli, la speranza trascende il semplice ottimismo; incarna l’essenza di Gesù Cristo, che è “la nostra speranza”. (1 Timoteo 1:1) In mezzo a queste difficili circostanze, i credenti coreani stanno lavorando diligentemente per realizzare una vera pace all’interno della nostra società, fondata sulla fede e sull’amore per Dio e nutrita di relazioni.
La Corea è un paese diviso. Le tensioni mondiali e i conflitti in altre parti del mondo hanno inevitabilmente effetti anche in Corea. Cosa significa “speranza” quando la pace è minacciata?
Il concetto di speranza che esprimiamo è fondamentalmente ancorato agli ideali di pace, riconciliazione e solidarietà.
Non definiamo semplicemente la pace come assenza di guerra o violenza; piuttosto, la percepiamo come autentica riconciliazione e profonda comprensione tra gli individui. Di conseguenza, quando la pace è in pericolo, la speranza che sposiamo è fondata su una fede e un amore che trascendono qualsiasi minaccia esterna. Alla luce delle precarie circostanze globali, in particolare quelle che affronta la penisola coreana, affermiamo che, indipendentemente dalle nostre distinzioni nazionali, etniche, culturali o linguistiche, siamo uniti come esseri di carne e sangue, tutti figli dello stesso Creatore Divino. La Corea del Sud e quella del Nord condividono un legame intrinseco attraverso un’etnia, una cultura, una lingua e una storia comuni. Sebbene l’attuale panorama politico tra le due nazioni, così come nel contesto internazionale, sia gravido di tensione, ci aggrappiamo alla speranza che la riunificazione alla fine si realizzerà.
Incontriamo numerose limitazioni pratiche che possono portare a delusioni e difficoltà. Ma la Chiesa coreana crede fermamente di dover assumere un ruolo guida nel promuovere la pace all’interno della nostra società e oltre, fungendo da “chiesa ponte”. Inoltre, percepiamo come un imperativo continuo pregare con perseveranza per i cittadini della Corea del Nord, che stanno lottando a causa di crescenti difficoltà tra temperature gelide e un clima economico in deterioramento.
Vivranno il Giubileo anche in Corea del Nord? Che informazioni avete? E cosa significa “speranza” per le persone che vivono nel Nord?
Nella società rigidamente controllata della Corea del Nord, sembra che il messaggio edificante del Giubileo proclamato dal Santo Padre non sia stato diffuso tra la popolazione nordcoreana. Al momento non abbiamo informazioni aggiornate e specifiche sui residenti o sul governo della Corea del Nord. In un ambiente così estremamente regolamentato, l’espressione più profonda di “speranza” per i cittadini potrebbe benissimo essere declinata con il ripristino dei diritti umani fondamentali. In realtà, la “speranza” percepita dai residenti della Corea del Nord non è fondamentalmente distinta dalla “speranza” amata in Corea del Sud; piuttosto, sono strettamente collegate.
È fondamentale che ci uniamo nelle nostre speranze e preghiere per un futuro in cui i diritti umani e le libertà fondamentali siano ripristinati in Corea del Nord, favorendo così un clima di pacifica coesistenza tra il Nord e il Sud.
La Corea sarà il Paese della GMG nel 2027. Cosa significa “speranza” per i giovani in Corea?
I giovani coreani spesso si ritrovano spinti dalla competizione ed esprimono un senso di sopraffazione tra le rapide correnti della vita contemporanea. Tuttavia, credo fermamente nella loro capacità di scoprire il proprio senso di “speranza” e di realizzarla impegnandosi in una trasformazione positiva. Mentre ci imbarchiamo nei preparativi per la Giornata mondiale della gioventù del 2027, puntiamo a fare di questa celebrazione un luogo in cui l’entusiasmo e la speranza dei giovani coreani possano essere condivisi con i giovani di tutto il mondo, promuovendo uno scambio reciproco di preoccupazioni e una fede condivisa in Gesù Cristo.
Qual è il messaggio al popolo coreano per questo prossimo Giubileo?
In linea con il tema del Santo Padre di essere “pellegrini della speranza”, desidero trasmettere un messaggio riguardo alla nostra identità di chiesa piena di speranza, chiesa pellegrina e chiesa proclamatrice. “Chiesa di speranza” perché nonostante i vari sconvolgimenti nel nostro panorama politico, il popolo coreano sta seriamente e pacificamente percorrendo sentieri per ripristinare i nostri orgogliosi valori democratici. “Chiesa pellegrina” perché come ha affermato il Santo Padre, “l’essenza dell’evento del Giubileo è il pellegrinaggio”. Il pellegrinaggio serve a ricordare che le nostre vite rappresentano un viaggio verso Dio. Infine “Chiesa proclamatrice” perché i cristiani che hanno incontrato la gioia del Vangelo sono ora chiamati a incarnare la gioia di proclamare il Vangelo durante questo anno giubilare. La nostra proclamazione deve trascendere le semplici affermazioni verbali, e manifestarsi in atti di carità, in particolare attraverso il rispetto e il sostegno per i più poveri ed emarginati.