Il giusto amore. I legami di parentela “se sono messi al primo posto, possono deviare dal vero bene”
Ricorda il Papa: "quando l’amore verso i genitori e i figli è animato e purificato dall’amore del Signore, allora diventa pienamente fecondo".
Tutto l’insegnamento di Gesù è un invito ad amare l’altro, anche il nemico. In questa domenica, però, leggiamo in Matteo queste parole: “chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me”. Matteo, nel suo Vangelo, ci propone un’altra parte del discorso di Gesù ai suoi discepoli, chiamati ad essere missionari, per le strade del mondo. Parla a loro, ma, se vogliamo, parla a tutti noi per indicare il modo di quell’andare nel mondo, per essere testimoni della novità cristiana.
Parole forti, esigenti anzi, che non nascondono fatiche e sofferenze, ma che dicono anche che chi compie questa scelta “non perderà la sua ricompensa”.
Parole che non vanno lette come un assoluto, ma comprese nella verità profonda cui invitano. Non si tratta, cioè, di non amare padre, madre – come la mettiamo con il quarto comandamento? – o di non amare i figli. Gesù non esige un amore totalitario per la sua persona, ma chiede quel “morso del più”, direbbe don Ciotti, che richiama l’amore che deve essere dato al Signore; Gesù vuole, semplicemente, che a lui, alla sua volontà, non sia preferito niente e nessuno da colui che vuole essere suo discepolo. Non ci chiede di ignorare l’affetto di un padre, la tenerezza di una madre, l’amicizia tra fratelli e sorelle – anche se in questi giorni di lockdown abbiamo imparato che non vedere le persone care è sì un sacrificio, ma anche un gesto d’amore – ma tutto questo non può essere anteposto a lui. La nostra vita è fatta di tanti fili sottili che ci legano, come il voler bene a una persona, l’affetto e la stima degli altri, il timore di non essere ‘qualcuno’, paure e insicurezze che ci impediscono di essere accoglienti, di guardare l’altro come un fratello, non un nemico, e di chiuderci nelle nostre pseudo sicurezze. Ma è questa la strada?
Il Signore sa che i legami di parentela, “se sono messi al primo posto, possono deviare dal vero bene”. Lo vediamo, dice Papa Francesco all’Angelus rivolgendosi alle persone, un migliaio, presenti in piazza san Pietro, nel rispetto delle regole di distanziamento: accade “in alcune corruzioni nei governi, vengono proprio perché l’amore alla parentela è più grande dell’amore alla patria, e mettono in carica i parenti […] senza parlare di quelle situazioni in cui gli affetti familiari si mischiano con scelte contrapposte al Vangelo”. Ricorda il Papa: “quando invece l’amore verso i genitori e i figli è animato e purificato dall’amore del Signore, allora diventa pienamente fecondo e produce frutti di bene nella famiglia stessa e molto al di là di essa”. Questo è il senso pieno della frase rivolta da Gesù ai suoi discepoli, nell’ultima parte del discorso missionario. Così le parole “chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me”, sono invito a percorrere la stessa sua strada, senza scorciatoie: “portata con Gesù, la croce non fa paura, perché Lui è sempre al nostro fianco per sorreggerci nell’ora della prova più dura, per darci forza e coraggio”. È il paradosso del Vangelo, ci dice il Papa: “la pienezza della vita e della gioia si trova donando sé stessi per il Vangelo, e per i fratelli, con apertura, accoglienza e benevolenza. Così facendo, possiamo sperimentare la generosità e la gratitudine di Dio”.
Una gratitudine che tiene conto anche del più piccolo gesto d’amore: “chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli”. Gratitudine generosa di Dio Padre, afferma Francesco, che apre a una “riconoscenza contagiosa, che aiuta ciascuno di noi ad avere gratitudine verso quanti si prendono cura delle nostre necessità. Quando qualcuno ci offre un servizio, non dobbiamo pensare che tutto ci sia dovuto”. Qui il Papa sottolinea il lavoro silenzioso, importante, di tanti volontari in questo tempo di pandemia: “la gratitudine – dice – la riconoscenza, è prima di tutto segno di buona educazione, ma è anche un distintivo del cristiano. È un segno semplice ma genuino del regno di Dio, che è regno di amore gratuito e riconoscente”.
Un pensiero, infine, nel dopo Angelus, alla Siria, al Libano. Il Papa guarda alla quarta Conferenza dell’Unione Europea e delle Nazioni Unite per sostenere il futuro di queste nazioni, e auspica un miglioramento della drammatica situazione dei popoli della regione.