Il cardinale Pappalardo, "pastore che sentiva vita e sofferenza della gente"
Intervista a Giovanni Bonanno autore del libro "Pappalardo cardinale dell'arte a Sagunto". Il suo messaggio? "Continuare a spendersi per una chiesa viva"
Ha amato e sofferto per il popolo siciliano, fortemente martoriato e soffocato dalla mafia e dalla cattiva politica. Il cardinale Salvatore Pappalardo, per 26 anni alla guida del capoluogo siciliano, era una persona in cammino per gli altri a cui bisognava dare risposte forti a partire dalla promozione umana dell'arte espressa in maniera profonda con azioni educative, culturali e sociali che lasciassero un segno profondo nella società. A parlarne è lo storico dell'arte Giovanni Bonanno nel libro, edito da Rizzoli, "Pappalardo cardinale dell'arte a Sagunto".
Proprio nel periodo storico molto caldo, scandito dalle morti di Falcone, Borsellino e p. Puglisi, eventi drammatici di una Palermo dominata dalla mafia e dalle sue connivenze politiche, il cardinale Salvatore Pappalardo lotta con tutti gli strumenti a sua disposizione, per stare vicino al suo popolo; non teme, già anni prima, di sfidare "cosa nostra" rinfacciando alla politica, con le parole di Tito Livio "Dum Romae consulitur Saguntum expugnatur" pronunziate davanti alla bara del prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, il "disinteresse di Roma nei confronti di una Sicilia violentata".
Nel volume, emerge tutta la figura anticonformista del "cardinale di Sagunto" sempre in dialogo con pittori e scultori, percepiti quali poeti e profeti lungimiranti nel volere che l'arte costituisse nella chiesa e nella società, sacramento di bellezza.
Perché ha deciso di scrivere questo libro?
Ho sentito il bisogno interiore forte di potere raccontare la storia di questa figura straordinaria che ha segnato profondamente il rinnovamento della chiesa. Parliamo di un cardinale 'che faceva ombra' perché lui come i cardinali Dionigi Tettamanzi e Carlo Maria Martini, era per una Chiesa veramente conciliare nella visione di apertura al mondo sociale, culturale e al mondo del dialogo e dell'incontro con l'altro. Pappalardo voleva una chiesa libera e soprattutto vissuta da protagonista da parte del mondo laico. Dà, infatti, spazio alla laicità che era apertura destabilizzante per la chiesa più conservatrice del tempo. I laici sono intesi 'come gli operai veri della vigna' cioè quelli che sentono il sudore, la stanchezza, il caldo e il freddo della vita quotidiana. Con lui nascono le Missioni Popolari, formate da laici e religiosi insieme, che escono dal 'tempio' per capire i bisogni reali della gente a partire da chi era più povero. Per questo si fa promotore di diverse opere sociali nella considerazione che 'la chiesa è credibile soprattutto per quello che fa e non solo per quello che dice'. Si ricordano la creazione di diverse case famiglia ed in particolare, nel 1978 a Baida del centro dedicato alle persone e ai bambini con disabilità.
Sposa nei fatti il cristianesimo vivente di cui parla oggi Papa Francesco?
Senz'altro, oggi sarebbe un braccio destro del Santo Padre. Era contrario a quella parte della chiesa che, ancora oggi, si ripiega su una cultura fatta solo di liturgismo e di aristocrazia conservatrice, legata ai privilegi e per questo arroccata volutamente su posizioni granitiche per l'esercizio del potere.
Pappalardo vive i momenti drammatici della stragi in cui morirono i giudici Falcone e Borsellino.
Pappalardo, durante quelle tragedie, reagisce con coraggio, alzando la voce e accusando non solo i mafiosi ma anche quella politica profondamente incapace e volutamente inetta nell'affrontare i problemi reali della Sicilia. Pertanto, non teme di sfidare "cosa nostra" rinfacciando alla politica, con le parole di Tito Livio "Dum Romae consulitur Saguntum expugnatur" pronunziate davanti alla bara del prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, il disinteresse di Roma nei confronti di una Sicilia violentata. Al suo grido arrivarono due risposte; quella del 1984 del presidente Sandro Pertini che, di fronte a quest'uomo che ebbe il coraggio di gridare e denunciare il silenzio di Roma, sentì il dovere di proporgli la nomina di a senatore della Repubblica e poi quella del 2004 quando il presidente della commissione nazionale antimafia Luciano Violante riconobbe che, senza l'aiuto di Pappalardo e della chiesa siciliana, non si sarebbero mai raggiunti certi risultati nella lotta alla criminalità organizzata. Pappalardo, nel tempo, venne pure minacciato ma non ebbe paura di stare vicino al popolo che amava.
Segue poi il dramma dell'uccisione di padre Pino Puglisi...
Con questa morte, se da una parte grida ancora una volta l'assenza dello Stato dall'altra si rivolge alla chiesa per sottolineare quanto padre Pino Puglisi avesse tracciato la vera strada da seguire vivendo tra la gente nella testimonianza forte del Vangelo fino alla morte. Anche davanti alla bara di padre Puglisi ebbe il coraggio di sfidare apertamente la criminalità organizzata.
Quali realtà nascono in quel periodo?
Nascono la comunità Speranza e Carità di Biagio Conte, la comunità delle suore francescane del Vangelo dedicate ai poveri e la comunità delle suore del Bell'amore dedicate alla cultura.
In lui c'è pure una ricerca continua della bellezza e del bene impersonata dall'arte?
Sì, crede molto nell'arte profondamente legata all'esistenza umana, alla ricerca degli altri, del mistero della gioia e del dolore. Il suo incontro e la sua vicinanza a molti artisti è fondato proprio sul bisogno di radicare dentro la chiesa una bellezza che salva. Non si tratta certo di una bellezza di facciata ma contemporanea che non si ripiega nel passato. In questo modo si apre ai diversi linguaggi della contemporaneità.
Aveva una grande capacità di ascolto di ogni persona...
Era capace soprattutto di fermarsi ad ascoltare le persone più umili che avevano difficoltà pure a comunicare in italiano. Lontano da ogni formalità, ascoltava, benediceva, stringeva le mani, abbracciava e accarezzava. La sua era una parola di un padre, di un fratello e di un amico che amava la sua gente con tutti e cinque i sensi. Era un pastore che sentiva la vita della gente, la loro sofferenza e la loro gioia con tutta la sua carne. In lui vibrava forte tutta la sua corporeità piena di grazia. La fede diceva il cardinale Martini non si rivolge all'intelligenza ma ai cinque sensi. Solo se la grazia entra nella nostra corporeità si può donare agli altri. La stessa sacralità dell'arte è fatta di carne se pensiamo ad esempio ad artisti come Caravaggio ma anche a tanti altri.
Oggi quale messaggio può emergere, dal vissuto di Pappalardo, per la chiesa italiana nella prospettiva aperta anche da papa Francesco?
Il messaggio è quello di continuare a spendersi per una Chiesa viva che vuol dire vivere la fede nella dimensione umana più autentica che ci spinge ad incontrare e sorridere con la gente e tra la gente. Significa pure aiutare le persone a gioire della speranza, a condividere la bellezza ed a sentire i sacramenti. C'è un mettersi in cammino senza avere paura di essere uomini.
Il cardinale Salvatore Pappalardo, gli ultimi anni della sua vita, si ritirò nella sua casa di Baida, a pochi passi da Palermo, dove morì nel dicembre 2006, lasciando ai posteri la sua visione dell’arte come luogo di verità e di luce.
Serena Termini