Fieri potest, un progetto di speranza nel carcere di Taranto
Don Francesco Mitidieri, cappellano del carcere di Taranto e presidente dell’associazione “Noi&Voi”, promuove progetti di inclusione sociale e lavorativa per i detenuti. La sua esperienza presbiterale rappresenta un forte richiamo alla corresponsabilità economica a sostegno dell’azione dei sacerdoti, come suggerito dalla campagna Sovvenire della Cei, “Uniti nel dono”
Fieri potest: tutto è possibile. Don Francesco Mitidieri sa bene che prima o poi le cose accadono, quando le assoggetta alla volontà di Colui in cui ha creduto, sin da bambino. Nel laboratorio di pasticceria della casa circondariale di Taranto, dov’è cappellano, i ‘suoi ragazzi’ mettono ingredienti genuini e la passione di chi vuole dire finalmente una propria parola, una parola diversa dal passato, sul piano sociale e lavorativo. È come se aggiungessero “Noi siamo quell’esperimento riuscito, quel panettone ai fichi di Puglia con il cioccolato che ha conquistato il mercato… noi siamo quella cosa lì: qualcosa di nuovo, che profuma di buono!”
‘Fieri potest-pastry lab’ è il nome del progetto di formazione e avviamento al lavoro promosso dalla cooperativa di volontariato carcerario ‘Noi&Voi’ di cui don Francesco è presidente dal 2010: “Volevano chiudere quest’associazione che aveva seminato speranza tra gli ultimi. Ho ripreso in mano gli obiettivi che il fondatore, don Antonio Marzia, nel 1992, si era dato e a cui avevo aderito come volontario, appena diventato cappellano del carcere, nel 2001”.
A Taranto, l’associazione Noi&Voi è un punto di riferimento riconosciuto anche fuori dalle mura carcerarie.
Com’è nata, don Francesco, questa l’idea del laboratorio di pasticceria all’interno del carcere di Taranto, innanzitutto?
“È nata un po’ di anni fa quando abbiamo fatto un primo progetto all’interno della casa-famiglia San Damiano e dove avevamo una collaborazione fra l’associazione Noi&Voi, la casa-famiglia San Damiano (struttura penitenziaria alternativa) e l’Aipd (l’Associazione italiana persone down): lì venivano i ragazzi che facevano il percorso di autonomia: erano i detenuti e gli ospiti della casa-famiglia ad insegnar loro a fare dolci e i ragazzi down facevano da educatori ‘emotivi’. Alla fine di ogni laboratorio si faceva un cerchio ed era quello il momento in cui c’era una sorta di restituzione educativa: «Tu oggi eri attento, perché mi hai chiamato per nome; invece tu eri distratto: non mi è hai proprio calcolato; me ne sono accorto, ma ti vengo ugualmente ad abbracciare!». Un’esperienza meravigliosa che valorizzava, nella diversità, le potenzialità di ognuno: la manualità dei detenuti e degli ospiti della casa-famiglia e un’affettività educativa strepitosa da parte dei ragazzi con la loro marcia in più nel ventunesimo cromosoma. A partire da lì, abbiamo avviato tanti altri laboratori legati al discorso gastronomico: dal ristorante ‘Articolo 21’, fino ad arrivare alla pasticceria che ha ripreso il nome di questo primo laboratorio: Fieri potest-pastry lab, che è diventato anche il nome del centro socio-educativo dove alloggiano detenuti in misura alternativa”.
Quali sono stati i primi passi?
“Abbiamo iniziato nel 2019 con una piccola pasticceria per la prima colazione: quindi i cornetti, piuttosto che i bocconotti e le crostate.
Il progetto prevedeva la presenza di un pasticcere, un professionista che logicamente abbiamo fatto entrare nella struttura carceraria; un pasticcere esperto che, nonostante l’età, continuava a lavorare nelle pasticcerie, qui a Taranto, e che si è messo a disposizione per trasmettere le sue competenze e i piccoli trucchi del mestiere. Con lui abbiamo portato avanti il laboratorio sia all’interno che all’esterno del carcere negli anni 2018 e 2019. Abbiamo capito dall’inizio che la cosa riscuoteva molto interesse!
Quanti detenuti hanno fatto richiesta di partecipare?
All’inizio erano cinque all’interno – dove per ovvie ragioni non si possono avere grossi numeri – e quindici detenuti in misura alternativa, all’esterno, a Casa madre Teresa di Calcutta e al centro Fieri potest: questo laboratorio era in sinergia con Caritas italiana.
Poi è arrivato il Covid?
Una grossa batosta che non ci ha permesso di entrare all’interno dell’istituto penitenziario, bloccando qualsiasi attività e quindi anche il progetto Fieri potest-pastry lab. Ma il successo riscosso dal nostro progetto non era passato inosservato: anche in quella fase così difficile, la direzione dell’istituto penitenziario aveva ottenuto dal Comune di Taranto un finanziamento dai fondi ex-Ilva e con quel denaro voleva implementare il laboratorio di pasticceria, con macchinari nuovi, spazi attrezzati più ampi e – con percorsi travagliati – si giunse all’affidamento alla cooperativa NoieVoi e non più all’associazione, perché il nuovo carattere commerciale, con vendita dei prodotti, imponeva che non fosse più l’associazione a occuparsene.
Noi&Voi è articolata in rete, oramai.
“Sì, accanto all’associazione abbiamo creato la cooperativa Noi&Voi e adesso la cooperativa Kairos, che collaborano in maniera stretta con tutte le costole dell’associazione. La gestione da parte della coop. Noi&Voi ha permesso – oltre alla commercializzazione dei prodotti da forno – l’assunzione di tre detenuti, frutto dell’implementazione della formazione sulla produzione e sull’utilizzo di questi macchinari.
Abbiamo assunto anche il formatore, un giovane pasticcere con trascorsi in panetteria: sicché ora si sfornano prodotti sia dolci che salati (panini, focacce, saltinbocca…) Oramai sono decine i detenuti che si sono formati in questi anni, alternandosi nei vari periodi, e sono pronti ad affrontare con competenza le chances offerte dal mondo del lavoro, una volta scontata la loro pena.
Cosa che non è una condizione imprescindibile, grazie all’articolo 21 dell’ordinamento penitenziario che permette di uscire dal carcere per lavorare, facendo poi ritorno a fine giornata lavorativa, perché il lavoro è fondamentale anche nel percorso di inclusione sociale.
Don Francesco, le difficoltà che affronti quotidianamente non hanno scalfito il tuo entusiasmo nel metterti a disposizione di chi ha sbagliato. Cosa ti permette di proseguire, proponendo orizzonti nuovi a quelli che chiami ‘i tuoi ragazzi’?
La caparbietà rispetto alle difficoltà. Anche con alti e bassi, bisogna avere caparbietà perché altrimenti, all’interno del carcere, non si riesce a realizzare nulla. Essere caparbi sapendo che l’inclusione sociale e lavorativa è la strada maestra. Se non si rimane lì a proporre progetti di questo genere, quelle persone torneranno a delinquere una volta usciti dal carcere, perché non hanno fatto un loro percorso acquisendo competenze e mantenendo la propria famiglia già durante la detenzione, con uno stipendio.
Dal tuo osservatorio privilegiato, quanto cambia il percorso futuro di un detenuto che riscuote l’orgoglio della famiglia per la retribuzione del suo lavoro?
C’è questa forte disparità fra una detenzione vissuta lasciando passare il tempo – e quindi senza stimoli – e una detenzione che fornisce l’occasione di acquisire delle competenze. Si percepisce chiaramente nei colloqui con le mogli e ancor di più con i figli: non sono più un peso per la famiglia, ma sono orgogliosi di contribuire alle spese mensili, all’acquisto dei libri scolastici e alle loro piccole esigenze quotidiane.
Quel lavoro, quello stipendio, prim’ancora che denaro, restituisce dignità alle persone”.
Dall’orgoglio dei detenuti e delle loro famiglie a quello della coop. Noi&Voi: i panettoni artigianali sono ricercatissimi in città e non solo qui…
Nell’ambito della pasticceria, i panettoni artigianali sono il prodotto con cui abbiamo rilanciato il progetto; non posso negare che è il prodotto con cui abbiamo fatto il botto: oltre ai classici, ne produciamo di originali: cioccolato fondente; pere e cioccolato; fichi e cioccolato; mandarino e caramello salato; crema al San Marzano… I ragazzi si sono sbizzarriti con la fantasia e ora tocca alle colombe pasquali!”.
Mimmo Laghezza