Economia di fraternità. Mons. Sorrentino: “Privilegiare un modello in cui si punti al vero benessere di tutti”
"Ci accorgiamo di essere così legati, tutti gli esseri umani, che se non si risolve il problema di tutti, non si può nemmeno risolvere quello di ciascuno. Un mondo in cui un pugno di straricchi concentra la massima parte della ricchezza, mentre milioni e milioni di esseri umani fanno i conti con la fame e la miseria estrema, non è concepibile", dice al Sir il vescovo di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino
Rifondare una nuova economia, mettendo al centro l’uomo, creando le condizioni affinché si attivino processi produttivi dal basso in cui l’elemento della fraternità degli attori in campo sia fondamentale. Poggia su questi elementi la riflessione teologico-economica contenuta nell’ultimo libro del vescovo di Assisi–Nocera Umbra–Gualdo Tadino, mons. Domenico Sorrentino, dal titolo: “Francesco d’Assisi e l’economia della fraternità”, fresco di stampa e pubblicato da Edizioni Francescane Italiane. Oggi, 15 maggio, viene anche consegnato il premio internazionale “Francesco d’Assisi e Carlo Acutis per un’economia della fraternità”, alla sua prima edizione. Di tutto questo parliamo con mons. Sorrentino.
Eccellenza, lei ha appena pubblicato “Francesco d’Assisi e l’economia della fraternità”: noi conosciamo San Francesco come il santo della povertà. Come si lega la sua figura all’economia?
In effetti è un paradosso. Proprio dal Santo che nel vescovado di Assisi gettò all’aria monete e vestiti, spogliandosi di tutto, per amore di Cristo, nacque un’ispirazione economica alternativa. Spogliandosi, egli si mise nei panni dei poveri.
Il suo non fu un “no” all’economia in quanto tale, ma piuttosto un “sì” all’economia della solidarietà e della fraternità.
Aveva incontrato gli ultimi e li aveva abbracciati. Celebre il suo abbraccio al lebbroso. Chiedeva si suoi frati di non considerare il denaro più di un sasso e proibiva loro di maneggiarlo. Ne conosceva il fascino seduttore. Ma non era contro il denaro in sé, bensì contro il “dio-denaro”. Sta di fatto che i suoi figli, nei secoli, costretti proprio a misurarsi con le esigenze del vivere quotidiano in povertà, elaborarono non solo un pensiero economico, ma anche idearono iniziative economiche a favore dei poveri, come i “monti di pietà”.
Cos’è l’economia di fraternità?
Se si vuole avere un’idea di questo tipo di economia, bisogna tornare ai primordi del cristianesimo, quando nella comunità di Gerusalemme si cominciò a vivere una fraternità che non si limitava alla dimensione spirituale, ma investiva anche la dimensione economica. Ci viene detto dagli Atti degli Apostoli che tra i cristiani non c’erano più bisognosi, perché i beni venivano condivisi. Recentemente Papa Francesco ha commentato: non era comunismo, ma cristianesimo allo stato puro.
Puntare all’economia della fraternità, nelle condizioni della nostra economia odierna, significa privilegiare un modello in cui il profitto non sia tutto, ma si punti al vero benessere di tutti, rispettando i diritti di tutti e mettendo i più deboli al centro dell’attenzione.
È possibile rifondare una nuova economia, mettendo al centro l’uomo, oggi, in un mondo così provato dal Covid-19?
Direi che proprio l’attuale pandemia ci sta mettendo alle strette perché questo avvenga. Ci accorgiamo di essere così legati, tutti gli esseri umani, che se non si risolve il problema di tutti, non si può nemmeno risolvere quello di ciascuno. Un mondo in cui un pugno di straricchi concentra la massima parte della ricchezza, mentre milioni e milioni di esseri umani fanno i conti con la fame e la miseria estrema, non è concepibile.
Occorre una “conversione” dell’economia. Che naturalmente non avverrà se non si convertono i cuori. Anche l’economia ha a che fare con Dio.
Con “The Economy of Francesco” il Papa ha invitato I giovani ad Assisi per un rinnovamento dell’economia e sempre ad Assisi ha voluto firmare la sua enciclica “Fratelli tutti”.
Di fronte alle sfide del sistema economico mondiale, che sembra tanto consolidato da non poter essere intaccato da nessun intervento “ideale”, il Papa si è rivolto ai giovani, alla loro capacità di sognare, alla loro voglia di un mondo diverso, più giusto e solidale.
Partire dai giovani significa puntare al futuro.
E non a caso ha voluto mettere questo appello ideale sotto l’ispirazione del Poverello di Assisi. I suoi gesti di “rottura”, in nome del Vangelo vissuto radicalmente, continuano a parlare. E parlano di povertà, certo, ma soprattutto di fraternità. La firma dell’enciclica “Fratelli tutti” sulla tomba di Francesco rimarrà un gesto storico.
Qual è l’obiettivo del premio internazionale “Francesco di Assisi e Carlo Acutis, per un’economia della fraternità”?
E ciò soprattutto nelle regioni più povere del mondo. Molti degli attuali imprenditori di successo tante volte raccontano di essere partiti da zero, da famiglie povere in cui si è cominciato con grande fatica a realizzare qualcosa che, con il tempo, è diventato un grande processo. Di simili potenzialità, il mondo forse è più ricco di quel che si pensi. Occorre metterle in luce e incoraggiarle. Il premio mira a questo. Goccia nell’oceano, se si vuole, ma l’oceano è fatto di gocce, ogni goccia può contaminare tutte le altre.
Oggi, sabato 15 maggio, il primo a ricevere il premio “Francesco di Assisi e Carlo Acutis” è l’Istituto Serafico. Perché questa scelta?
L’Istituto Serafico di Assisi risponde pienamente all’ideale del “Premio per una economia della fraternità”. Fu fondato da un grande francescano, san Ludovico da Casoria, 150 anni fa. Nacque in assoluta povertà, facendo leva sulla provvidenza. Cominciò ad occuparsi di categorie svantaggiate come i ciechi e i sordomuti. Oggi è un grande e moderno istituto che accoglie ragazzi affetti da gravi e plurime disabilità. Li accoglie con competenza tecnica, ma soprattutto con grande amore. Anche Papa Francesco lo visitò nel 2013 e le sue parole restano indimenticabili: occorre – disse – “ascoltare le piaghe” dei sofferenti.
Al Serafico queste piaghe vengono “ascoltate”.
È un luogo di amore. Una vera economia della fraternità.
Al convegno di oggi interviene anche il ministro per le disabilità, Erika Stefani. Nell’economia di oggi c’è posto per persone con disabilità? Come cambiare mentalità?
Sicuramente si sta facendo un progresso nella sensibilità verso le persone con disabilità. Ma si deve fare di più. Una società dell’efficienza è tentata di fare a meno dei più fragili. Ma essi danno alla società, per il fatto stesso che ci sono, un contributo enorme. Ricordano che il valore dell’essere umano non si misura dalla sua efficienza. Prima o poi, inefficienti – dal punto di vista tecnico – diventiamo tutti. E allora? I più fragili sono un grande “manifesto” della dignità umana “tout court”. Ci aiutano a dare un’anima alla nostra convivenza. Costringono l’orgoglio tecnocratico a fare i conti con l’essenziale.
Un’economia che volesse fare a meno della disabilità diventerebbe disumana.
Cosa ci ha insegnato il Covid? Anche se le sue conseguenze le stanno pagando soprattutto i più poveri, nessuno, neppure l’uomo più ricco del mondo dal punto di vista materiale, può considerarsi al sicuro.
Il Covid – grande disgrazia – si sta rivelando anche un grande “maestro”. Ci sta dando una lezione che forse ci era necessaria: in fatto di fragilità, siamo davvero tutti sulla stessa barca. E allora, perché non salire tutti sulla stessa barca della fraternità?