Pontelongo, Cona, Correzzola. Il vescovo incontra il primo gruppo di parrocchie
L’ultima tappa – per il 2018/19 –, la numero 17 della visita pastorale porta don Claudio a Pontelongo e nelle unità pastorali di Cona e Correzzola a cui un anno fa ha chiesto di sperimentare il nuovo modello di Chiesa. Nel frattempo emerge sempre più che vivere la Chiesa è una scelta, in nome della fede
Chiamatela “sperimentazione”, “laboratorio” oppure “nuovo modello”. Oppure fate come i cristiani di qui, che l’hanno ribattezzata “unità vicariale”, «tanto per capirci», mettono in chiaro. Sta di fatto che quanto stanno vivendo le dodici parrocchie che in questi giorni (21-30 giugno) stanno ricevendo la visita pastorale del vescovo Claudio è il progetto pilota di come potrebbero essere i futuri gruppi di parrocchie, presentati a tutta la Diocesi nei mesi scorsi, a cui è dedicato anche una bozza di lavoro pubblicata tra febbraio e marzo. Le protagoniste sono le comunità di Pontelongo, San Lorenzo di Bovolenta, Correzzola, Villa del Bosco, Brenta d’Abbà, Concadalbero, Terranova, Civè, Cantarana, Cona, Monsole e Pegolotte. Per i tre parroci, i due preti collaboratori e le persone legate alle parrocchie tra i 12.800 residenti, il 2018 ha segnato un cambio d’epoca. Il vecchio vicariato di Pontelongo, che tutte insieme costituivano, è entrato a far parte del nuovo vicariato del Piovese (insieme anche ad Arzergrande) e poi, al momento di rinnovare gli organismi di comunione, è arrivato l’invito di mons. Cipolla. Concretamente in questo anno ogni parrocchia ha eletto un coordinatore per i tre settori pastorali “liturgia e sacramenti”, “Caritas e missioni” e “annuncio e catechesi” e il consiglio parrocchiale per la gestione economica. Il compito di questi gruppi di coordinamento è quello di mettere in pratica le scelte espresse dal consiglio pastorale unitario, composto dai sacerdoti e da un laico rappresentante per ogni comunità.
La sfida è grande, anzi, «c’è consapevolezza del cambio epocale in atto», dice senza mezzi termini don Mario Vallese, parroco dell’unità pastorale di Correzzola. Ma derubricare il tutto a una questione di assetto ecclesiale sarebbe una grande leggerezza: i laici parlano di cambio di mentalità, di lenta acquisizione di un nuovo modo di essere Chiesa, si spingono a riflettere sull’importanza del diaconato, mentre i preti vedono mutare il loro ruolo, con fiducia, avendo ben presenti i passaggi da fare e i passi falsi da evitare. In questo contesto, tutti non vedono l’ora che il vescovo arrivi per fare il punto e c’è da scommettere che non sia un caso che don Claudio abbia voluto incontrare proprio queste parrocchie al termine del primo anno della visita pastorale che riprenderà dopo l’estate.
«I laici impegnati attendono il vescovo per avere conferme su questo nuovo modo di stare insieme – riprende don Mario – Si tratta di un capovolgimento totale rispetto alla prospettiva dell’unità pastorale: il baricentro è effettivamente in parrocchia, il consiglio pastorale unitario coordina e declina le linee diocesane». Ma dopo il primo anno, quali sono gli ingredienti fondamentali? «Noi preti dobbiamo fidarci molto più dei laici, anche se non siamo formati a farlo. Serve stima reciproca: i cristiani devono assumere delle responsabilità che un tempo erano solo dei sacerdoti». Facile? No. Necessario? Sì. «Io sono legale rappresentante di sei parrocchie da 120 a 1.500. Senza il grande supporto dei laici non potrei entrare al meglio in tutte le situazioni».
L’impatto della sperimentazione è netto anche a Cona: qui l’unità pastorale è attiva da 15 anni e, come spesso accade, è stata una conquista raggiunta nel tempo, una volta superate le frizioni iniziali. «Oggi le nostre quattro parrocchie sono belle proprio perché hanno condiviso molto. E le più piccole hanno tratto giovamento dalla vicinanza delle più grandi», riflette il parroco, don Stefano Baccan. Una delle questioni aperte è infatti come individuare figure di riferimento in comunità a volte piccolissime, anche se spesso proprio le realtà che da tempo non hanno un parroco residente rispondono meglio alle novità. «Ciò che conta è non disperdere tutto il patrimonio di bene maturato in questi anni di up – riprende don Stefano – In questo momento, giusto per fare un esempio, è normale per gli operatori pastorali impegnarsi anche in una parrocchia dell’up che non è la loro». E poi le dodici parrocchie rappresentano altrettante esperienze, molto differenti tra loro. Anche se ci sono fenomeni comuni, come l’invecchiamento della popolazione, un numero di funerali molto superiore a quello dei nuovi nati e un discreto pendolarismo per il lavoro, non tutte hanno vissuto con la stessa intensità la presenza del campo di accoglienza straordinaria per migranti, nella ex base militare di Conetta: «La chiusura è stata un sospiro di sollievo per molti, per chi sentiva il peso dell’accoglienza scaricato su una piccola frazione e per chi non riteneva dignitose le condizioni di queste persone. Si è trattata anche di una preziosa occasione per interrogarci sul nostro modo di accogliere e di vivere la carità».
Don Carlo Pampalon invece è parroco della parrocchia più grande delle dodici, Pontelongo, e della seconda più piccola, San Lorenzo di Bovolenta. «A Pontelongo è stato semplice individuare i coordinatori – racconta – Tutti i gruppi afferenti al singolo settore si sono ritrovati, si sono confrontati e alla fine hanno eletto una persona che già rappresentava un punto si riferimento. In questo anno individuare le persone è stato il vero nostro impegno, anche perché la stessa preparazione alla visita pastorale ha visto dei confronti tra coordinatori di tutte le parrocchie. Si tratta di persone a cui viene data grande autonomia, nelle scelte e nelle relazioni con i singoli operatori pastorali, come pure negli incontri: è il coordinatore a curarli e condurli, anche nel momento della preghiera, la mia presenza è al pari del resto del gruppo».
Parole confermate da Silvia Salvagnin, coordinatrice del settore annuncio e catechesi proprio a Pontelongo: «Siamo in fervente attesa del vescovo! Ci sono una serie di dinamiche a cui trovare una soluzione insieme. Un esempio? Come interagire tra noi dodici parrocchie nel consiglio pastorale unitario che partirà a settembre». Ma Silvia si sente riconosciuta come figura di riferimento dagli altri laici impegnati? «Devo dire di sì: io mi affianco alle catechiste, conosco le problematiche dei gruppi, ascolto, discutiamo insieme. È necessario però che la scelta di un coordinatore arrivi al termine di un percorso: a Pontelongo da tempo si sentiva l’esigenza di questa figura. Cooptare una persona potrebbe non funzionare».
Renzo Lazzarin, sempre di Pontelongo, vede la prospettiva in chiave positiva: «Dalla visita pastorale mi attendo un’accelerazione, mi auguro davvero che possiamo individuare al meglio la strada giusta per raggiungere gli obiettivi. Perché non farlo da soli? Ci troviamo di fronte a qualcosa di inedito, che ci è stato proposto da vescovo, ci serve una iniezione di fiducia e qualche dritta per non rimanere in stand-by».
Paolo Bottaro, di Pegolotte, ammette di non aver dormito bene le prime notti dopo aver saputo che sarebbe partita la sperimentazione: «Mi sono interrogato molto, anche perché ho visto i frutti di questi ultimi 15 anni: i campanili nell’up di Cona si sono abbassati molto. E poi so che cambiare lo stile di vita, anche nella Chiesa richiede molto tempo. Poi però mi son detto: la Diocesi è al nostro fianco, il vescovo ci proporrà di certo qualcosa per il bene. Ciò che conta veramente è che come laici ci mettiamo in gioco per riscoprire la bellezza della fede. Rischiamo davvero di vivere in un mondo che mette Cristo da parte; il nostro compito invece è impegnarci anzitutto nella preghiera e nel volerci bene l’un l’altro. Sono certo che il vescovo viene anzitutto per vedere se noi cristiani di qui ci vogliamo bene e solo dopo per le sovrastrutture».
L’esperienza comune che favorirà il cammino delle dodici comunità è l’iniziazione cristiana, che le quattro e sei parrocchie che compongono le due attuali unità pastorali vivono tutte insieme. A Brenta d’Abbà vive Benedetta Pasquali, 18 anni, coordinatrice della catechesi: «Il tempo della fraternità sta facendo bene sia ai ragazzi di prima media, sia ai loro genitori. Il futuro della nostra parrocchia passa per l’attivarsi dei giovani: se noi per primi non ci muoveremo, la comunità rischia di spegnersi». «Non sappiamo bene a cosa andiamo incontro – ammette Marta Canato, coordinatrice di Villa del Bosco – affrontiamo il cammino giorno per giorno. La nostra mentalità è ancora molto legata alla presenza del sacerdote, ci vorrà molto tempo per cambiarla: i mugugni non sono mancati su noi coordinatori, ma nel tempo sarà sempre più chiaro che siamo semplicemente persone a servizio. Il concetto è che è venuto il momento di darsi da fare».
Insomma, la tappa numero 17 della visita pastorale del vescovo sarà necessariamente caratterizzata dalla sperimentazione, laboratorio o nuovo modello partito qui. Ciò che emerge parlando con laici e preti tuttavia è una consapevolezza nuova: il tempo delle parrocchie come fattore sociale e presenza scontata sta per finire. Arriva l’epoca della scelta e dell’impegno in prima persona in nome della fede.
Le comunità
Sono dodici le comunità a cui, al momento del rinnovo degli organismi di comunione, il vescovo Claudio ha chiesto di farsi laboratorio del modello già presentato alla diocesi e inserito nella bozza di lavoro “I gruppi di parrocchie”, pubblicata tra febbraio e marzo di quest’anno.
Si tratta di Pontelongo (3.700 abitanti), San Lorenzo di Bovolenta (200), Correzzola (900), Villa del Bosco (1.400), Brenta d’Abbà (520), Concadalbero (1.200), Terranova (150), Civè (1.450), Cantarana (500), Cona (780), Monsole (259), Pegolotte (1.750).
Tre sono i parroci: don Carlo Pampalon per Pontelongo e San Lorenzo; don Stefano Baccan per l’unità pastorale di Cona; don Mario Vallese per quella di Correzzola, dove risiedono e collaborano anche don Luigi Penazzo e don Tiziano Buscagin.