Terra terra… l’Expo naturale che non chiede di pagare il biglietto
Letteralmente Expo è l’abbreviazione della parola inglese exposition che deriva dal latino exponere, mostrare. E di cose in questo periodo se ne vedono tante. Gli inviti ad andare a vedere, non si contano, con stime sparate per scongiurare il “flop” universale. Resteremo quindi a vedere. Scelgo intanto un’alternativa di cui – statene certi – nessuno vi parlerà: l’esposizione universale che sta sotto il nostro naso. Fuori di casa. In un bosco o prato. In un paesaggio o cielo stellato.
Letteralmente Expo è l’abbreviazione della parola inglese exposition che deriva dal latino exponere, mostrare
E di cose in questo periodo se ne vedono tante. Gli inviti ad andare a vedere, non si contano, con stime sparate per scongiurare il “flop” universale. Resteremo quindi a vedere. Per questo mi sono promesso di non dire nulla sull’Expo di Milano, fino a che non sarà terminata. Rifuggo dalle Cassandre e dall’ostentazione degli ottimisti di turno.
Scelgo qui un’alternativa di cui – statene certi – nessuno vi parlerà: l’esposizione universale che sta sotto il nostro naso
Fuori di casa. In un bosco o prato. In un paesaggio o cielo stellato. Il tempo in questi giorni ci è favorevole e come in uno spettacolo basta solo lasciarsi trasportare dentro. La stagione appare come un richiamo allo “stupore” per chi ancora riesce a stupirsi. Basta una breve camminata sul fare della sera in una mite giornata di maggio.
In quell’ora del crepuscolo cara ai poeti, dove non vi è né troppa luce né tanta ombra. Dove i colori si perdono nel cielo che s’infuoca col tramonto, con Venere e Marte che scintillano.
In quell’ora i profumi delle cassie (robinie) dopo aver inebriato le api si concedono all’aria frizzantina, che smuove le fragili giovani chiome delle nuove foglie di stagione di siepi e alberi. Le rane iniziano a gracidare i loro canti d’amore e le prime lucciole tornano in danze di fantasia. Il frinire dei grilli fa da sottofondo, mentre cammini sull’erba fresca con gli effluvi delle erbe selvatiche che si mescolano fino a giungere al naso.
I colori si caricano di nuova luce. Pipistrelli e passeri s’intrecciano in voli radenti con rondini e rondoni sempre più rari. Mentre i papaveri, tornati lungo i margini dei campi, delimitano le spighe di grano che biondeggiano ormai.
Tutto appare esposto, mostrato, disvelato. Non merce, ma emozioni, a tratti ricordi di una vita passata, dove ogni odore, suono e colore, rimanda agli anni già vissuti
Il tempo della rinascita primaverile, resuscita a suo modo l’uomo vecchio che è in noi, rinsaldando il cerchio della vita con i suoi simboli totemici e universali. E mentre il contadino rincasa sul fare della sera, quel «m’illumino d’immenso» di ungarettiana memoria scolastica, ridiventa l’inno o laude di un momento che ormai in pochi sembrano accorgersene.
Non si dica che questo sciorinare di bucolica esperienza è cosa per pochi
Lo stupore e stupirsi è alla base d’ogni innocenza e magnifica esperienza: che sia essa di un bambino o poeta, come di uno comune.
A nessuno viene negato questo incanto, purché ne conservi lo spirito. Il che non significa peccare di zelo o nobile pensiero, ma più semplicemente accorgersi di ciò che sta sotto il nostro naso.
E se universale questa esposizione deve essere, lo sia nel mirare la volta celeste illuminarsi pian piano. Il cielo sopra, la terra sotto e l’uomo di mezzo.
Nel nostro frugale passaggio, la vita torna ciclica nella sua naturale “expo universale” di ogni anno
Che dire allora se non ci stupiamo di tutto questo, l’andare a Milano per riempirci d’altro? Lo stupore-motore d’ogni attività umana, se è tramontato nell’animo, non si appaga con nient’altro. Non basterà quindi dire d’essere andati a vedere “l’Expo artificiale”, fatta di padiglioni e progetti futuristi, per ridestare quello stupore primigenio, sostituito oggi dallo spirito di chi ha visto tutto e dimentica presto.
E poi, “l’Expo naturale” che abbiamo davanti casa, non chiede biglietto!