Terra terra… Dopo tre guerre, l’alpino del secolo «è andato avanti»

Lo spirito della montagna ha perso un figlio. Gli italiani una pezzo di memoria. È l’alpino del secolo, Cristiano Dal Pozzo di 102 anni, che il 28 marzo scorso, giorno di Pasquetta, ha appeso il suo cappello al chiodo. «È andato avanti», come amano ripetere gli alpini pensando alla morte. Si è spento serenamente in quel suo mondo fatto di montagne, ricordi e patate. Quelle che lui coltivava da una vita, e ha coltivato quasi per un secolo di vita. 

Terra terra… Dopo tre guerre, l’alpino del secolo «è andato avanti»

Nato a Castelletto di Rotzo, Cristiano di nome e di fatto, era ormai una icona pubblica. Un elemento del paesaggio montano.
Uno scampolo di memoria viva, che lo portava a raccontare le tre guerra cui era sopravvissuto. La prima nel 1915 con lo sgombero da parte degli austriaci e la cacciata di casa. In giovane età era sfollato con tutta la sua famiglia a Grisignano di Zocco, dove ancora vivono alcuni fratelli. Nel ’36, per racimolare qualche paeanca, l’arruolamento volontario nella Campagna d’Africa in Abissinia ed Eritrea, dove come marconista trasmetteva dalle retrovie le cronache sulle sanguinose battaglie dell’Ambaradan.
La storia lo costringerà nuovamente a vestire la divisa da coloniale durante la Seconda guerra mondiale, quando tornerà in Africa per la Campagna di Libia del ’43, per finire poi prigioniero in un campo di concentramento tedesco. Una lunga e affascinante storia la sua, piena di particolari che a stento si trovano nei libri di storia, al punto che quando iniziava a raccontare per raccontarsi, l’unica soluzione era sedersi e ascoltarlo senza limiti di tempo.

Cristiano non si considerava un eroe, benché fosse passato incolume per tanti conflitti.
Amava ripetere: «Brutta bestia ea guera!». Cristiano non ha mai mollato. Scorza dura da montanaro, ma con un volto gentile e due occhi azzurri e vispi fino al suo ultimo compleanno nel dicembre scorso, quando gli è stata tributata una festa non più alla basilica del Santo a Padova come era ormai d’abitudine, ma nella casa di riposo di Roana.

«Son stufo – diceva sornione – parché son vecio e go voja de stare vicin a me mojere». Lo ripeteva come un mantra a tutti, per poi aggiungere: «Se vedemo aea prosima adunata».
Parola chiave quella di “adunata”. Richiamo irresistibile cui Cristiano non sapeva sottrarsi. Parola “magica” che lo vedeva risorgere ogni qualvolta gli veniva chiesto di partecipare. Così è stato fino all’ultima sfilata nazionale del 2014 a Pordenone, quando dalla tribuna delle autorità scese pure il premier Renzi per abbracciare l’anziano alpino. Ultima sua apparizione pubblica all’adunata triveneta di Conegliano del 2015.

Ma c’era un dettaglio che lo rendeva speciale: ogni anno il primo dicembre, giorno del suo compleanno, lui arrivava in corriera da solo a Padova per adempiere a un voto che aveva espresso durante la prigionia.
Disse che se fosse tornato vivo sarebbe andato ogni anno a ringraziare il Santo. Così fece, per oltre settant’anni, nel silenzio più totale fino a 96 anni, quando i frati scoperta la sua particolare storia e peregrinazione, trasformarono il suo arrivo in basilica in una festa, con tanto di messa e pranzo comunitario.
«Un primato, quello di Cristiano, che lo ascrive tra i fedeli di sant'Antonio più longevi e osservanti. Ma soprattutto, possiamo dire che sia stato un genuino fratello di noi frati» ha commentato commosso il rettore della basilica, padre Enzo Poiana, alla notizia della scomparsa dell’ultima penna nera del tempo di guerra, che ora riposa nel cimitero di Rotzo.

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