Autorevoli studiosi che allo stato attuale per riportare le falde ai livelli di tre anni fa, servirebbe un mese di pioggia ininterrotta. La “legge del pendolo” climatico, per dirla con gli studiosi, sta imponendo i suoi ritmi, con fenomeni estremi. La vetusta rete idrica nazionale che seguita a disperdere il 49 per cento dell’acqua erogata
Torno a scrivere su una realtà che puntualmente mi turba. Il 21 marzo, convenzionalmente da l’avvio alla primavera. Stagione amena, con fiori e profumi, dove i poeti si scatenano e gli amori impazzano. Tempo in cui per ricordare tutto ciò, nelle scuole di un tempo si celebrava il rito agreste della “festa degli alberi”, con migliaia di piantumazioni. E oggi?
È arduo da figlio di una terra, quindi abitante di un luogo e cittadino di un territorio, raccontare l’infelice sorte di cui si è testimoni in meno di un quinquennio. Arduo perché l’attaccamento mentale, geografico e storico per la tua terra, t’impedisce spesso di essere obiettivo su cose, fatti e persone, benché i segnali, i cedimenti e debolezze strutturali si mostrino sotto gli occhi di un’intera regione e nazione. Talmente evidenti che la storia postuma faticherà a giustificarne l’operato. Parlo di Vicenza e del Vicentino, terra d’alta pianura ricca ed effervescente, che è stata per decenni sinonimo di sviluppo, imprenditoria ed etica sociale (si pensi a Marzotto col suo modello di sviluppo industriale integrato).
Curiosa convivenza lessicale, del parlare in italiano per descrivere il dialetto veneto. Per non dire di chi parla in dialetto, sull’italiano. In entrambi i casi sempre lingua è. Anzi, comunicazione verbale che nasce e incarna un territorio.
In Veneto esistono quasi quattro milioni tra auto e moto (numero in crescita), cui vanno ad aggiungersi circa 400 mila camion merci, 17 mila trattori e un buon numero di altri mezzi da lavoro. Se li lasciamo in sosta col motore acceso il tempo di comprare il giornale... quanti danni producono?
Lo starebbe dimostrando la scienza: le piante (in generale) avrebbero reazioni indotte da ciò che accade loro intorno.
Prima scena.
Un giardino con un ragazzino di dieci anni che con il suo smartphone (telefonino) si muove affannosamente alla caccia di chissà che. La mia domanda che seguì, fu: «Cerchi qualcosa?». La madre a distanza risponde: «Tranquillo, sta solo cercando di catturare un Pokemon…».
“Ze tempo de pisacan, rosoe, rampusoi e tanoni!”. Esclamazione popolare a primavera, quando oltre alle rondini (chi le vede più oggi!) germogliano le erbette selvatiche in campi e boschi. Radici, foglie e germogli, finiscono ieri come oggi col divenire ingredienti della cucina povera, ma ricca di sapori.
Lo spirito della montagna ha perso un figlio. Gli italiani una pezzo di memoria. È l’alpino del secolo, Cristiano Dal Pozzo di 102 anni, che il 28 marzo scorso, giorno di Pasquetta, ha appeso il suo cappello al chiodo. «È andato avanti», come amano ripetere gli alpini pensando alla morte. Si è spento serenamente in quel suo mondo fatto di montagne, ricordi e patate. Quelle che lui coltivava da una vita, e ha coltivato quasi per un secolo di vita.
La nostra esistenza è possibile ridurla a una questione meramente “grammaticale”: essere o avere. Presente, passato e futuro. Ciò che siamo e quanto ci circonda è regolato da questa ineffabile regola: flessibile e irremovibile. Con dolore e gioia. Sorpresa e delusione. Successo o fallimento. Anche se poi la storia ci dimostra che “tutto scorre”, “tutto torna e si trasforma”. Filosofia a parte, la ciclicità della vita resta un fatto ineluttabile e inevitabile. Il divenire dell’essere si abbandona al tempo, lo stesso che partorisce i cicli stagionali.
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