Csi Padova: tutti in campo, nessuno in tribuna. Anche nella vita
L’impegno sociale, culturale ed educativo promosso dal Csi è rimasto saldo nella quotidianità. Oggi come 70 anni anche se sono cambiate le "fragilità" dei giovani: lo smarrimento e l’incertezza per un futuro da costruire hanno lasciato spazio a nuove tentazioni che disorientano la maggior parte dei ragazzi.
L’Italia dei primi decenni del dopoguerra, quella che verrà poi ricordata per il miracolo economico, era povera, ma ricca di giovani pieni di energia da convogliare verso un futuro migliore. Uno slancio vitale come forza motrice per ripartire, per lasciarsi alle spalle macerie, desolazione e lutti, nonostante l’incertezza di un cammino tortuoso tutto da costruire e con il rischio di perdersi.
In un paese pronto a ricominciare con entusiasmo, l’associazionismo cattolico si pose subito in prima linea per accompagnare i ragazzi lungo questo cammino di crescita. E lo fece attraverso lo sport, consegnandolo a tutti, dando in ogni parte d’Italia la possibilità di maturare formandosi in un’attività sportiva.
In un’Italia ancora frammentata e dove anche gli impianti sportivi mostravano le cicatrici di una guerra dolorosa, il Csi l’impulso alla rinascita e, sin dal giorno della fondazione, il 5 gennaio 1944, l’idea alla base dell’iniziativa del professor Luigi Gedda era quella di aprire le porte, invitare allo sport tutta la gioventù italiana senza limiti o distinzioni.
Nell’immediato dopoguerra tra le discipline che unirono il paese ci fu il ciclismo e campioni come Gino Bartali e Francesco Moser legheranno le prime pedalate proprio al Csi. Il mito di Bartali diventò megafono per Pio XII per accrescere la fiducia attorno allo sport. Ai giovani dell’Azione cattolica infatti, in un discorso ufficiale del 1947, disse: «Il tempo della riflessione e dei progetti è passato. È l'ora dell'azione. È l'ora dello sforzo intenso. Guardate il vostro Gino Bartali: egli ha più volte guadagnato l'ambita maglia. Correte anche voi in questo campionato ideale, in modo da conquistare una ben più nobile palma».
L’impegno sociale, culturale ed educativo promosso dal Centro sportivo italiano è rimasto saldo nella quotidianità. Allora come oggi. Certo, sono cambiate le debolezze rispetto a 70 anni fa: lo smarrimento e l’incertezza dei ragazzi per un futuro da costruire hanno lasciato spazio a nuove preoccupazioni, nuove tentazioni che possono disorientare. L’iperconnettività che corre sul web, se mal interpretata, crea illusioni facendo credere ai più vulnerabili di essere in contatto con il mondo, ma di fatto sempre più isolati e rinchiusi in sé stessi. Per fronteggiare una sintomatica stortura generazionale ecco che all’interno de Csi si cresce e si matura con l’idea di essere “tutti in campo e nessuno in tribuna”. Stare assieme, senza selezioni, è vitale: senza agonismo esasperato che porta ad avere atleti di serie A o serie B, ma con l’idea di far tesoro di più esperienze possibili.
Uno sport, dunque, che torna dalla parte dell’uomo per formarlo nella pienezza dei valori e delle relazioni vincenti accomunate da una sinergia cattolica. È una battaglia contro il consumismo, contro modelli devianti e nocivi che si depositano nella testa dei ragazzi e contro un futuro che mette dinanzi a bivi dov’è facile cedere all’appagamento immediato, ma vuoto e falso. Alex Zanardi, pilota dall’encomiabile qualità umana e sportiva, è testimone di come possa essere facile cadere nel tranello: «Se non fosse stato per lo sport, sarei stato una facile preda di fenomeni distorti. La voglia di emergere e le mie soddisfazioni le avrei cercate, magari, nella droghe». E il Csi è un faro fondamentale che dissipa timori e invoglia a costruire qualcosa assieme. Del resto lo stesso Zanardi ha detto: «Ci si può drogare di cose buone e una di queste è certamente lo sport». Ed è un piacere che sia così.