Il riutilizzo dei beni confiscati alle mafie: non più esperienza straordinaria, ma politica ordinaria

Il responsabile di settore di Libera, Davide Pati: “Per il riutilizzo dei beni confiscati alle mafie è necessaria, dopo venti anni di distanza dalla legge, una strategia nazionale di intervento che prenda in considerazione lo sviluppo delle politiche di coesione, di lavoro, sulla formazione cooperativa e sulla rigenerazione urbana”. Èquesto  il piccolo scatto in avanti che si chiede alla comunità politica, a vent'anni dall'approvazione della legge.

Il riutilizzo dei beni confiscati alle mafie: non più esperienza straordinaria, ma politica ordinaria

Quali opportunità per un giovane che intenda impegnarsi nel riutilizzo dei beni confiscati alle organizzazioni criminali?
L’occasione per parlarne, nel Seminario diocesano di Cassano allo Jonio (CS), è data dalla presentazione alla stampa di un percorso formativo sulla Promozione cooperativa e il riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie rivolto ai giovani dai 18 ai 35 anni del territorio.
Un piccolo segno, targato Prefettura di Cosenza, Università della Calabria, diocesi di Cassano, associazione Libera e amministrazione comunale.

I dati
Secondo il sito di “Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie” attualmente i beni confiscati in Italia sono 12.946, da Nord a Sud. Quello dei beni confiscati è un tema che tocca tutte le regioni del Belpaese, esclusa la Val d’Aosta.

L’impegno
“Ci troviamo a vent’anni di distanza dalla legge 109 del 1996 che introdusse il riutilizzo sociale dei beni confiscati e da allora tante esperienze di questo genere sono state realizzate in Italia grazie all’impegno delle istituzioni, della magistratura, del mondo del volontariato e dell’associazionismo, rappresentato anche dalla Chiesa”.
A declinare l’impegno per il riutilizzo dei beni sottratti alle mafie è il responsabile di settore di Libera, Davide Pati. “Abbiamo fatto un censimento di più di 500 realtà sociali che dalla Lombardia fino alla Sicilia gestiscono i beni confiscati – precisa Pati - e molti sono giovani del territorio, giovani legati anche alle realtà diocesane delle Chiese del nostro Paese”.

Un consiglio
Proprio le diocesi possono essere interlocutori privilegiati per quei giovani che intendano spendersi nel riutilizzo dei beni confiscati.
Prima di tutto, però, occorre formarsi, proprio come capiterà a trenta giovani cassanesi. Ma quello della cittadina ionica non è l’unica iniziativa.
Proprio di alcuni giorni fa, ad esempio, è la notizia di un bando promosso dalla Fondazione con il Sud e rivolto alle organizzazioni non profit di Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia, con l’obiettivo di sostenere “progetti esemplari” per l’avvio di nuove attività di economia sociale o per il rafforzamento di iniziative economiche esistenti su beni confiscati alla criminalità organizzata.

“È importante che un giovane che si è formato a livello di studi universitari possa conoscere quali sono i beni confiscati. Infatti una delle lacune da colmare è proprio quella informativa. Chi lo desidera ha la possibilità di interessarsi con la rete territoriale di Libera e del Progetto Policoro della propria diocesi per conoscere lo stato delle procedure in cui si trovano questi beni”.

Tra le strade possibili, quella di partecipare ai bandi delle amministrazioni comunali con i quali vengono assegnati i beni confiscati a realtà associative e di cooperazione.

Chiesa & Libera
Davide Pati traccia il bilancio del percorso comune: “La rete nazionale di Libera ha collaborato da sempre con la Conferenza episcopale italiana e con gli uffici nazionali che promuovono il Progetto Policoro, la Caritas italiana e il Servizio di pastorale giovanile per attività di formazione e di promozione cooperativa di beni confiscati”.

Cooperazione per l’intera comunità interessata
Nei venti anni di attività sono stati “tanti i gesti concreti di riutilizzo di terreni per l’agricoltura biologica e sociale ma anche tanti i luoghi in cui i giovani hanno trovato spazio per il gioco e le attività ricreative, ma anche per quelle lavorative”. Il riutilizzo del bene confiscato diventa così concreta occasione di sbocco nel mondo del lavoro.
“L’impegno della Chiesa italiana sul fronte della legalità continua, un impegno forte che si sente sul territorio nazionale e che vede vescovi impegnati” – prosegue Pati.

Una proposta
“Per il riutilizzo dei beni confiscati alle mafie è necessaria, dopo venti anni di distanza dalla legge, una strategia nazionale di intervento che prenda in considerazione lo sviluppo delle politiche di coesione, di lavoro, sulla formazione cooperativa e sulla rigenerazione urbana”.
È questo il piccolo scatto in avanti che Pati chiede alla comunità politica: “Quelle del riutilizzo dei beni non possono essere più esperienze di carattere straordinario”. Lo chiedono le comunità stesse, perché il bene riutilizzato edifica l’intero corpo sociale.

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