Catechesi "interattiva": i giovani domandano, don Claudio risponde

Una delle cose che passerà alla storia come punto di forza della Gmg di Cracovia, rispetto alle edizioni precedenti, è il fatto di essere riusciti a preservare la dimensione della diocesanità. A Colonia e a Madrid, solo per citare le ultime due europee, i giovani padovani, per assistere alle catechesi, erano divisi in gruppetti di al massimo qualche centinaio, sparsi per varie proposte.

Catechesi "interattiva": i giovani domandano, don Claudio risponde

Ora, invece, tra Proszowice e Klimontov, rappresentano la “maggioranza qualificata” e possono vivere, pur in una cornice di un evento mondiale, anche un incontro più intimo come Chiesa locale. La presenza del vescovo Claudio, proprio per questo, è una ricchezza da sfruttare al massimo.

“Lasciarsi toccare dalla Misericordia di Cristo”

Giovedì 28 luglio, giornata dedicata a capire come “lasciarsi toccare dalla misericordia di Cristo”, a Cracovia e nelle città satelliti la catechesi si trasforma in un momento di riflessione personale e di scambio reciproco; non più solo spettatori passivi di un vescovo che parla, oggi i giovani sono chiamati a vivere l’incontro da protagonisti con domande e riflessioni.

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A partire da domande e riflessioni sulla fede. Don Claudio, alla catechesi di oltre mille padovani (e non solo) a Proszowice, non teme il confronto e risponde puntualmente al fuoco incrociato che arriva dai ragazzi. Qualche prete commenta a bassa voce, mentre ascolta i quesiti, e si dichiara stupito per la profondità dei giovani arrivati alla Gmg. Come credere in Dio? “Per diventare credente ho dovuto dichiararmelo, a 17 anni – racconta don Claudio – ero tutto un “su e giù”, dall’entusiasmo passavo a dire “non c’è niente”. Poi, a seguito di alcune esperienze, mi sono detto: “Secondo me il Signore c’è, e da qui non mi sposto più”.” Don Claudio cita l’immagine del “pietrone”: “Succeda quel che succeda, da adesso mi dichiaro credente. Metto una pietra sopra a tutti i dubbi. Questo mi ha aiutato tantissimo, di fronte ai tentativi della vita, anche da prete, di mettere in crisi la mia fede, come la morte di un bambino”. Don Claudio spiega: “Noi non arriviamo ad essere credenti per coinvolgimento razionale, ma è un dono, un dono che una volta catturato bisogna tenersi stretto”. Più tardi il vescovo precisa: “Dobbiamo agganciare il Signore quando arriva, non è un imporsi, è Gesù che si impone, è Gesù che ci cerca, per tutti c’è un momento in cui il Signore si rivela”.

La Misericordia vissuta da Vescovo

Marco da Cadoneghe chiede a don Claudio: “In questo primo anno come hai vissuto concretamente la Misericordia?”. “Ho ricevuto molta Misericordia – risponde il Vescovo – molta gente ha voluto bene alla mia miseria. Fino all’anno scorso ero parroco di Sant’Antonio, a Mantova, dove ero contestato e dove ero amico. Oggi sono come allora, non è che sia scattato chissà quale meccanismo. Anche la bella accoglienza che ho ricevuto è stata un segno di incoraggiamento per me per svolgere questo ruolo”. Ma ammette di averne anche provata, di Misericordia: “Ho incontrato soprattutto i preti, tutti i preti nelle parrocchie, un atto dovuto ma importante. Ne ho visti tanti, specie anziani, che si sono commossi quando ho suonato il loro campanello. Ho scoperto che se si ha misericordia si scoprono cose straordinarie, anche da preti anziani, in pensione o ritirati. Chiedo a voi ragazzi di scoprirlo, di vedere noi preti con maggior comprensione, sbagliamo tutti”.

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Chiedere il massimo

Don Elia da Vigodarzere parla di Misericordia e del rischio, indicato da Papa Francesco, di “indurire il cuore”: “La prima grazia che dobbiamo agli altri è quella della fiducia – sottolinea don Claudio – e dunque chiedere agli altri il massimo di ciò che riteniamo possano fare, e non di meno. Altrimenti scadiamo nel buonismo. Questa non è durezza, ma dare coraggio di fronte alla propria vita, è stima”.

Cittadini del cielo

Immancabili le domande sulla morte, su quello “che c’è dopo”, prospettiva che i ragazzi avvertono come lontana ma comunque presente, con la quale interrogarsi. “Abbiamo un annuncio che svalutiamo troppo – osserva don Claudio – è l’annuncio che la nostra patria, la nostra anagrafe è in cielo. Siamo qui solo per un po’ di tempo, ma siamo già concittadini dei santi, nella comunione tra i credenti che sono già in cielo e quelli che sono ancora qui. Questo annuncio non ci deve far scappare dalle nostre responsabilità, ma ci deve impegnare già da questa terra, perché il fine (non la fine) della nostra vita determina il mondo con il quale la viviamo”.

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Testimoni di Misericordia

“Oggi per voi ragazzi essere cristiani è molto più difficile di un tempo. Nella scuola, nell’università, negli ambiti in cui vivete, dire di essere cristiani vuol dire fare brutta figura. È giusto che vi poniate il problema di come parlare della Misericordia di Dio a chi non ne vuole sentire parlare, ma dobbiamo prima imparare a vivere con chi la pensa in modo diverso. In questa società il nostro modo di parlare agli altri è quello del rispetto, del volergli bene, senza trincerarci in cittadelle e recinti e dialogando senza pretendere. Forse un giorno anche loro percepiranno un raggio di Dio”.

La scelta prioritaria dei poveri

Tra le domande anche quella su chi deve essere destinatario della nostra misericordia. I lontani o i vicini? “Soprattutto i lontani. Noi abbiamo tre strade per incontrare Gesù: la preghiera, la comunità, i poveri. Servono tutti e tre. I poveri non sono facoltativi: facoltative sono le tattiche, i modi, ma non la scelta. Un cristiano sta sempre dalla parte dei poveri, degli umiliati e degli ammalati; è necessario per conoscere Gesù”. E infine: “L’amore è senza limiti, come la Misericordia, più amiamo meglio è. I limiti sono quelli umani. La Chiesa ha bisogno del vostro coraggio, della vostra inventiva,  della vostra novità. Non c’è una Chiesa di adulti che possa esistere senza voi giovani. Altrimenti moriamo anche noi”.

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Comunità “malleabili”, aperte al lavoro di Dio

Nell’omelia della messa, più tardi, le riflessioni di don Claudio cercano di catturare una prospettiva più estesa. Citando la prima lettura di Geremia, con il Signore paragonato ad un vasaio intento a rimodellare, come argilla, Israele, don Claudio parla delle comunità di cui fanno parte i ragazzi.

“Le nostre comunità devono rendersi disponibili ad essere prese in mano da questo vasaio che è il Signore. C’è bisogno che le nostre comunità diventino comunità vere, vive, che siano segno e strumento di misericordia, capaci di accoglienza. Non possiamo continuare ad erogare servizi religiosi a basso costo, abbiamo davanti una prospettiva più importante, essere noi comunità, noi giovani e adulti. I bambini li educheremo non se li faremo giocare innanzitutto, ma se riusciremo a creare un’esperienza esperienza di comunità che testimonia e che sa attrarre. Dobbiamo riformare la nostra esperienza in modo tale che sappia essere attraente per i ragazzi, dobbiamo “catturarli” perché siamo belli, perché ci sappiamo voler bene”.

Un Papa in tram

Nel pomeriggio di giovedì 28 luglio la città di Cracovia si blocca. Per il perimetro del Centro Storico non transitano più i mezzi pubblici, per fare spazio ad uno soltanto, il “tram del Papa” con cui Papa Francesco ha scelto di fare il suo ingresso a Cracovia. L’attesa è tanta, ma ormai è quasi agli sgoccioli. L’ora in cui due milioni di giovani da tutto il mondo si raduneranno a Campus Misericordiae per vivere la veglia e la grande messa di invio si avvicina sempre di più.

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