Vescovi belgi su eutanasia: "Se si oltrepassa il limite, miniamo le basi stesse della nostra civiltà"
“L’eutanasia non è la scelta della Chiesa. La scelta della Chiesa sono le cure palliative. Non ci sono ragioni che possano condurre all'eutanasia i malati psichici anche se si trovano al termine di ogni trattamento possibile”.
Padre Tommy Scholtes, portavoce della Conferenza episcopale belga, spiega perché i vescovi del Belgio hanno preso la parola dopo la bufera che si è scatenata nei giorni scorsi a seguito di una dichiarazione pubblicata dai Fratelli della carità. Nessuna apertura – dice padre Scholtes – da parte della Chiesa cattolica alla "dolce morte" e ai medici è consentita l'obiezione di coscienza.
"Vogliamo come vescovi ripetere quanto già abbiamo detto a proposito dell'eutanasia”.
“Non possiamo essere d'accordo sul fatto che essa sia praticata nei pazienti psichici che non sono in fase terminale”.
“C’è un limite e un divieto che sono applicati sin dalle origini del vivere insieme degli uomini. Se noi tocchiamo questo limite, miniamo le basi stesse della nostra civiltà. Questo è il motivo per cui chiediamo la massima moderazione e un dialogo costante su questi temi”.
Prendono la parola i vescovi del Belgio dopo la bufera che si è scatenata nei giorni scorsi a seguito di una dichiarazione pubblicata il 25 aprile dalla branca fiamminga della Congregazione religiosa dei Fratelli della carità, nella quale si annunciava di prendere “seriamente in considerazione la sofferenza insopportabile e disperata dei nostri pazienti, così come le loro richieste di eutanasia”.
La dichiarazione è stata letta da più parti come una apertura della Chiesa cattolica all'eutanasia.
Ma da Roma, dove è residente, il superiore generale della congregazione dei Fratelli della carità, fratel René Stockman, intervistato dall’olandese Katholiek Nieuwsblad, nega che la decisione presa dai Fratelli della Carità nelle Fiandre sia in linea con la Congregazione. E chiarisce: “Disapprovo completamente questa decisione. È incompatibile con la visione della nostra congregazione. Il rispetto dell’inviolabilità dell’essere umano è di importanza capitale; noi consideriamo questa inviolabilità come assoluta”.
L’eutanasia in Belgio è legale dal 2002 e nel febbraio del 2014 fu estesa anche ai minori facendo del Belgio il secondo Paese europeo, dopo i Paesi Bassi, ad autorizzare questa via.
Oggi in Belgio si contano duemila casi di eutanasia ogni anno, pari al 2% dei decessi. La legge si è progressivamente aperta consentendo l’eutanasia a casi di malattie non necessariamente terminali. I media hanno parlato ampiamente di casi di eutanasia piuttosto sorprendenti, come l’eutanasia di persone con cecità incipiente, Alzheimer nella fase iniziale, persone stanche di vivere, delinquenti sessuali, persone sofferenti per l’età avanzata e per solitudine. Il Paese ha visto un numero consistente di persone malate di depressione chiedere l’eutanasia (65 casi in un anno) e il numero delle persone che hanno beneficiato della “dolce morte” è raddoppiata tra il 2008 e il 2013.
L’ultima frontiera è quella sui pazienti psichici non in fase terminale e la Dichiarazione dei Fratelli della Carità ha posto l'accento su un terreno particolarmente caldo, suscitando reazioni diverse.
Per questo, spiega al Sir padre Tommy Scholtes, portavoce della Conferenza episcopale del Belgio, i vescovi hanno ritenuto necessario pubblicare una nota ufficiale per chiarire quanto da sempre affermato e cioè che “l’eutanasia non è la scelta della Chiesa. La scelta della Chiesa sono le cure palliative. Non ci sono ragioni che possano condurre alla eutanasia i malati psichici anche se si trovano al termine di ogni trattamento possibile”.
Padre Scholtes spiega che in Belgio l’eutanasia è autorizzata dalla legge, per ragioni sia di fine di vita ma anche per casi di sofferenze anche psicologiche insopportabili.
Una via che la Chiesa non può accettare in nessun caso. E visto che nel Paese sono molti gli ospedali e case di cura gestite da congregazioni religiose, il portavoce dei vescovi belgi rivendica “la libertà di coscienza” per tutti i cittadini e “l’obiezione di coscienza” dei medici che “permette loro di opporsi ad una richiesta”.
“Il nostro punto di vista – spiegano i vescovi nella nota – non significa che vogliamo abbandonare la persona nella sofferenza. Siamo coscienti che la sofferenza psichica può essere immensa e che una persona può trovarsi totalmente disperata e senza prospettive. Ma è proprio in questa situazione che dobbiamo rimanerle vicino e non abbandonarla”.
Nella nota viene auspicato un più accurato ricorso alle cure palliative.
La questione eutanasia apre a una serie di “domande fondamentali” sulla vita e sulla società.
Sono interrogativi - sottolineano i vescovi - che attraversano non solo le Chiese cristiane ma “sono oggetto di un dibattito pubblico”: “che cosa ci rende umani? che cosa costituisce una società umana? Cosa serve veramente il progresso?”.
E concludono invitando tutti alla moderazione e al prosieguo di un dialogo serio su temi delicati come l'eutanasia e il fine vita.