Chiesa e stampa americana contro Trump, presidente indigesto
Negli Usa i cattolici rappresentano il 25-30 per cento della popolazione. Tra scuole, ospedali, strutture caritative, la chiesa è, a tutti gli effetti, la seconda rete di protezione sociale del paese dopo lo stato federale. Ma cosa pensano i cattolici americani del presidente Donald Trump ad un mese dal suo insediamento? Abbiamo sfogliato alcune delle più importanti riviste cattoliche americane.
Negli Usa i cattolici rappresentano il 25-30 per cento della popolazione.
Gestiscono più di 5.600 scuole elementari, 1.200 scuole medie e superiori e 244 tra università e college, per un totale di circa 3,5 milioni di studenti e più di 200 mila insegnanti e professori. Nel sistema sanitario, sono legati alle diocesi o a istituti religiosi cattolici più di 600 ospedali, oltre a case di riposo, pensionati e molte altre istituzioni caritative.
La chiesa è, a tutti gli effetti, la seconda rete di protezione sociale del paese dopo lo stato federale.
Ma cosa pensano i cattolici americani del presidente Donald Trump ad un mese dal suo insediamento? Abbiamo sfogliato alcune delle più importanti riviste cattoliche americane.
Il National Catholic Reporter (bisettimanale di stampo liberal a diffusione nazionale) definisce«devastante, caotico e crudele» il decreto contro l’immigrazione del presidente Trump.
Il presidente dei vescovi americani, card. Daniel DiNardo, di Galveston-Houston, afferma che«la chiesa non si tirerà indietro nella difesa dei fratelli e sorelle di tutte le fedi che soffrono per mano di persecutori spietati. I profughi che fuggono dall’Isis sono alla ricerca di sicurezza e protezione per i loro figli. Gli Stati Uniti dovrebbero accoglierli come alleati nella lotta contro il terrorismo».
Il card. Josep Tobin, da gennaio arcivescovo di Newark (una delle più grandi diocesi Usa), in un’intervista su America (il settimanale dei gesuiti) dichiara:«Personalmente è un provvedimento che ritengo illegittimo. Ma soprattutto è vergognosa la demonizzazione dell’islam che ha giocato sulle paure irrazionali delle persone e che è stata fomentata non solo dalla classe politica ma anche da giornalisti e media irresponsabili».
Il card. Blase Cupich, di Chicago, ha parlato di un momento buio per la storia degli Usa. Mentre il vescovo di San Diego, mons. Robert McElroy, ha descritto il provvedimento come l’introduzione nella legge di una campagna di slogan radicata nella xenofobia e nel pregiudizio religioso.
Ne The Tidings, il settimanale dei cattolici della costa occidentale, l'arcivescovo José Gómez, di Los Angeles e vice presidente della Conferenza episcopale, precisa che«se si vuole comprendere l'impatto dei raid degli agenti delle dogane (Immigration and Customs Enforcement) impegnati in molti interventi in tutto il paese dall'inizio di febbraio, è sufficiente guardare ai bambini. Non vogliono andare a scuola perché hanno la paura di non trovare più i genitori al loro ritorno».
Il decreto del presidente ha innalzato il clima di paura, ostilità e conflitto sociale.
I vescovi e le associazioni caritative da tempo chiedono alle istituzioni di affrontare e risolvere il problema delle famiglie i cui figli sono cittadini americani perché nati negli Usa, mentre i genitori provenendo dal centro e sud America, rimangono ancora clandestini davanti alla legge.
«Certo – continua mons. Gomez – ci rendiamo conto che ci sono persone che hanno commesso crimini e che devono pagare i loro debiti con la società. Ma buona parte della frutta e della verdura che mangiamo proviene dal lavoro di persone che sono senza documenti. Il settore agricolo, la ristorazione, l'industria manifattura, il settore alberghiero, l'abbigliamento, le costruzioni, il giardinaggio, la cura dei bambini e l’assistenza degli anziani sono settori che impiegano migliaia di clandestini. Queste persone senza documenti sono qui perché si preoccupano per le loro famiglie, vogliono essere buoni cittadini e dare un contributo alla vita di questo paese».
Non solo immigrazione. Anche la sospensione dei trattati di libero scambio (il Tpp in particolare) e il protezionismo economico sono temi sui quali si concentra la critica dei cattolici Usa al presidente.
Il National Catholic Reporter con un’intervista a Christopher Hale presidente della Catholics in alliance for the common good, punta il dito sullo slogan spesso ripetuto da Trump, “America first”, giudicandolo ideologico, uno specchietto per allodole, un tranello illusorio. Laperdita di posti di lavoro della manifattura americana non è dovuta agli accordi commerciali ma alla rivoluzione tecnologica.
Il protezionismo, secondo Hale, non è sostenibile nel futuro, non è un modo cristiano di guardare in avanti e non risponde alla realtà in cui viviamo.
E non si tratta solo di ideologia.
L’U.S. Catholic dei claretiani, parla del disastroso tentativo di trasformare l’amministrazione della Casa Bianca, con le sue dinamiche politiche di mediazione e compromesso, in una moderna company d’affari gestita dal manager.
Le dimissioni di Michael Flynn da consigliere per la sicurezza nazionale, continua il Commonweal (un settimanale liberal impegnato per la giustizia sociale) sono un segnale chiaro dell’incompetenza, dell’inettitudine e dell’indifferenza morale che caratterizzano l'approccio di Donald Trump alla leadership. E prima o dopo il partito repubblicano dovrà fare i conti sulla inidoneità di Donald Trump come presidente degli Usa.
Insomma lo stesso First Things (settimanale conservative e attento ai temi pro-life) scrive che i cattolici Usa sono impegnati a salvare i neonati (con le loro madri) e non a punire le madri (che hanno praticato l’aborto), concludendo che le politiche pro-life del presidente Trump mostrano che«egli non è uno di noi».
Rimane comunque la domanda: ma alla fine chi ha votato Trump?
Renzo Beghini