«Basta ambiguità nei paesi arabi»

Leonardo Tricarico, ex capo di stato maggiore dell'Aeronautica, nega che interventi militari in Siria come i bombardamenti di Raqqa da parte della Francia, possano portare qualche soluzione all'intricata questione siriana. «Non tutte le via diplomatiche sono state percorse», ammonisce, e spiega di non avere notizie circa l'utilizzo dei nostri Tornado in Siria, e dunque il coinvolgimento dell'Italia nelle operazioni sarebbe tutt'altro che imminente

«Basta ambiguità nei paesi arabi»

Dopo gli attentati di Parigi è scattata l’offensiva aerea della Francia contro le postazioni dello Stato Islamico a Raqqa, nel nord della Siria. «È un’azione di autodifesa», ha dichiarato Laurent Fabius, ministro degli esteri francese, dal G-20 in Turchia.

«Le misure “punitive” contro la Siria, così come quelle contro la Libia o le operazioni nel Mali, sono passi sconsiderati che servono a poco, forse a nulla. Probabilmente peggiorano la situazione. Hanno lo stesso effetto di percuotere un vespaio senza poi distruggerlo»: inquadra così la questione il generale Leonardo Tricarico, presidente della fondazione Icsa (Intelligence, culture and strategic analysis), ex capo di stato maggiore dell’aeronautica militare e già comandante della 5a forza aerea tattica alleata della Nato.

Generale Tricarico, i bombardamenti in Siria hanno avuto l’avallo dell’America e anche la Russia è stata avvisata.
«Se malauguratamente si sceglierà la via della forza bisogna mettere in conto che si renderà necessaria un’azione totale. Anche perché finora lo schema “ortodosso”, basato sui bombardamenti, non si è dimostrato assolutamente risolutivo. Anzi, in un conflitto asimmetrico come questo ha solo esacerbato i focolai di tensione. Se si sceglierà l’opzione militare mi auguro che ci sia una coalizione che metta assieme l’Occidente, la Russia e anche i paesi arabi».

Il premier Manuel Valls ha parlato di imminenti nuovi attentati in Europa. È un messaggio sibillino, una dichiarazione quasi di “impotenza” di fronte agli eventi.
«Non so quali informazioni abbia a disposizione per addivenire a queste certezze. Sta di fatto che siamo entrati in un percorso di guerra, che come dice il papa si combatte a “pezzi”».

L’Italia potrebbe partecipare ad azioni militari “dirette”?
«I vertici del governo lasciano intendere che l’Italia potrebbe fare la propria parte. Ma nutro più di una perplessità e non ho particolari notizie di imminenti utilizzi diretti dei nostri Tornado in Siria».

La sua è una posizione tutt’altro che interventista. Ma una coalizione internazionale potrebbe a breve “mettere gli scarponi” in Siria?
«Come detto mi auguro di no, almeno come prima opzione di un fronte internazionale comune. Mi spiego: finora la diplomazia non ha battuto tutte le strade per trovare una soluzione di pace in Siria. Gli Usa, la Russia e i paesi arabi non sono stati mai veramente seduti attorno ad un tavolo per discutere di come “archiviare” l’Isis e di come dare un futuro alla Siria. Che passa inevitabilmente per questa domanda: che fine vogliamo far fare ad Assad?».

Di fronte a un nemico non convenzionale come l’Isis, quali sarebbero le armi della diplomazia di cui parla?
«La questione siriana copre una serie di ambiguità degli stati mediorientali che non sono più tollerabili. Parlo anche di una “diplomazia muscolare”: la coalizione internazionale deve mettere una volta per tutte i paesi del Golfo, come l’Arabia Saudita, e paesi come la Turchia di fronte alle proprie responsabilità politiche e militari».

Si riferisce a qualche precisa responsabilità?
«Non c’è terrorista arrivato in Siria che non sia passato per Istanbul, per fare solo un esempio».

In Italia, con il giubileo alle porte, quanto è alta l’allerta in tema di ordine pubblico?
«Il giubileo ha una valenza evocativa immensa. Finora sono stati colpiti i paesi direttamente coinvolti nelle operazioni di guerra. Non è una sequenza casuale che a Beirut siano stati colpiti gli sciiti, che sia stato abbattuto l’aereo di linea russo sui cieli egiziani e da ultimo l’attacco terroristico a Parigi. Se cambierà la strategia italiana, in ottica interventista in Siria o in altre aree, tutti i livelli di rischio sarebbero da rivedere».

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