"Storia degli Uscocchi" che il leone di San Marco non riusciva a graffiare
Lo storico Umberto Matino svela nel suo ultimo libro edito per Biblioteca dell'immagine la Storia degli Uscocchi trascrivendo in chiave moderna il testo dell'arcivescovo di Zara Minuccio Minucci e del teologo della repubblica veneziana fra Paolo Sarpi.
Il loro nome era già emerso nell’ultimo giallo, Tutto è notte nera, tra gli ingredienti storici dell’intrigo che il vicentin-padovano Umberto Matino ha costruito attorno alle memorie della setta degli Angelicati e ad altre vicende storico-religiose venete.
Forse da qui è nata l’idea di riproporre, in trascrizione moderna, la Storia degli Uscocchi (Biblioteca dell’immagine, pp 364, euro 14,00), pirati dell’Adriatico di cui raccontarono a staffetta le imprese, ovviamente con spirito partigiano filoveneziano, l’arcivescovo di Zara Minuccio Minucci e poi fra Paolo Sarpi, teologo della repubblica.
In origine, come si evince dalla parola croata uskok, che significa fuggiasco, si trattava di profughi dei Balcani che all’inizio del Cinquecento erano stati costretti a scappare per l’avanzata dei Turchi. Profughi ma non rassegnati, tant’è vero che non smisero mai di combattere una tenace guerriglia contro i turchi, soldati di ventura al soldo della nobiltà locale e dell’Austria.
La quale Austria spesso però pagava poco o non pagava, per cui si videro costretti, per sopravvivere, a darsi alla pirateria assalendo le navi turche, di preferenza, ma senza troppo stare a guardare per il sottile alle bandiere, quando il bisogno, o lo spirito d’avventura impelleva. Col passare del tempo i pirati uscocchi, con le loro agili imbarcazioni, allargarono il loro raggio d’azione a tutte le navi mercantili che transitavano a tiro dell’isola di Segna, la loro base, mettendo in pericolo la libertà di navigazione dell’Adriatico e causando vari “incidenti diplomatici” tra l’impero turco, quello austriaco e la repubblica di San Marco. Dalla descrizione degli antichi testi affiora il fascino di questi audaci marinai che riuscivano a sgusciare tra le unghie del leone di San Marco che dava loro accanitamente la caccia con la sua flotta da guerra e «sembrava avesser – sono parole di Minuccio Minucci – sempre favorevoli sia il mare, che i venti, che il demonio stesso in persona».