Sì al dialogo, per dire basta all’orrore dell’aborto, della tratta e della violenza
Sono 180 i paesi che intrattengono relazioni diplomatiche con la santa sede, a cui vanno aggiunti l’Unione Europea, l’Ordine di Malta e la missione speciale della Palestina. Ai loro rappresentanti il papa ha ricordato che la pace si costruisce dalla quotidianità
«Andare oltre la superficie conflittuale», la direzione da seguire, per “considerare gli altri nella loro dignità più profonda, affinché l’unità prevalga sul conflitto e sia possibile sviluppare una comunione nelle differenze». Nel primo discorso rivolto al corpo diplomatico papa Francesco ha ricordato che la pace si costruisce ogni giorno: a partire dalla famiglia e dal suo «lessico», e dal messaggio del Natale, che «muta le spade in vomeri e le lanci in falci» e «trasforma l’egoismo in dono di sé e la vendetta in perdono». Mai più dunque l’«orrore» dei bambini vittime dell’aborto, dei bambini-soldato o preda della tratta, “delitto contro l’umanità». Mai più il «dramma» dei profughi e rifugiati che cercano la salvezza in viaggi di fortuna. Mai più la fame e la «cultura dello scarto», che scambia gli esseri umani con le cose. Mai più la «ferita» dello sfruttamento del creato, perché la terra è la casa di tutti «e non perdona mai quando viene maltrattata».
Così il papa di fronte ai 180 rappresentanti degli Stati che attualmente intrattengono relazioni diplomatiche con la santa sede, a cui vanno aggiunti l’Unione Europea, il sovrano militare dell’Ordine di Malta e la missione a carattere speciale dello stato della Palestina.
Il lessico “fraterno” della famiglia.
«La fraternità si comincia a imparare solitamente in seno alla famiglia», ha esordito il Papa, perché «il lessico familiare è un lessico di pace. Purtroppo – ha però aggiunto – spesso ciò non accade, perché aumenta il numero delle famiglie divise e lacerate, anche per le condizioni difficili in cui molte di esse sono costrette a vivere, fino al punto di mancare degli stessi mezzi di sussistenza». Di qui la necessità di «politiche appropriate che sostengano, favoriscano e consolidino la famiglia». Da una parte, inoltre, «è saggio non emarginare gli anziani dalla vita sociale per mantenere viva la memoria di un popolo», dall’altra «è bene investire sui giovani».
La cultura dell’incontro.
«La chiusura e l’isolamento creano sempre un’atmosfera asfittica e pesante, che prima o poi finisce per intristire e soffocare», ha ammonito il papa tornando ad auspicare un impegno comune di tutti per favorire una cultura dell’incontro. «Non cesso di sperare che abbia finalmente termine il conflitto in Siria»: è il primo paese citato da Francesco, che ha ricordato la giornata di preghiera e di digiuno di settembre e ha chiesto «una rinnovata volontà politica comune per porre fine al conflitto», auspicando che Ginevra 2, convocata per il 22 gennaio, «segni l’inizio del desiderato cammino di pacificazione». Nello stesso tempo, «è imprescindibile il pieno rispetto del diritto umanitario», perché «non si può accettare che venga colpita la popolazione civile inerme, soprattutto i bambini».
«È positivo che siano ripresi i negoziati di pace tra israeliani e palestinesi», ha detto il papa auspicando che «decisioni coraggiose per trovare una soluzione giusta e duratura a un conflitto la cui fine si rivela sempre più necessaria e urgente».
Le ferite alla pace.
«La pace è ferita da qualunque negazione della dignità umana, prima fra tutte dalla impossibilità di nutrirsi in modo sufficiente». È il forte appello del papa: «Desta orrore il solo pensiero che vi siano bambini che non potranno mai vedere la luce, vittime dell’aborto, o quelli che vengono utilizzati come soldati, violentati o uccisi nei conflitti armati, o fatti oggetti di mercato in quella tremenda forma di schiavitù moderna che è la tratta degli esseri umani, la quale è un delitto contro l’umanità». Senza contare «il dramma delle moltitudini costrette a fuggire dalla carestia o dalle violenze e dai soprusi», molte delle quali «vivono come profughi o rifugiati in campi dove non sono più considerate persone ma cifre anonime» e «altri, con la speranza di una vita migliore, intraprendono viaggi di fortuna, che non di rado terminano tragicamente». La «generale indifferenza» davanti a tragedie come Lampedusa è un «segnale drammatico» della perdita di quel «senso della responsabilità fraterna su cui si basa ogni società civile». L’«avido sfruttamento delle risorse ambientali» è «un’altra ferita alla pace». Perché, come recita un detto popolare: «Dio perdona sempre, noi perdoniamo a volte, la natura – il creato – non perdona mai quando viene maltrattata».