Il papa per la Quaresima: «L’altro non è mai un ingombro»
Al centro del messaggio del papa per la Quaresima la parabola del ricco e del povero Lazzaro. Francesco mette in guardia dal denaro come idolo tirannico, che può asservire noi e il mondo intero a una logica egoistica. L’antidoto: l’ascolto della Parola, che ci aiuta ad accogliere la vita e amarla
Da una parte la «corruzione del peccato», che si veste di porpora e di bisso ed è dominata da un «idolo tirannico», che «può arrivare a dominarci»: il denaro. Dall’altra il volto dell’altro, che è sempre «un dono» e mai «un fastidioso ingombro», anche quando bussa alla nostra porta.
È l’affresco tracciato da papa Francesco nel Messaggio per la Quaresima – dal titolo La Parola è un dono. L’altro è un dono – che inizia il primo marzo con la liturgia del mercoledì delle Ceneri.
Al centro del messaggio la parabola dell’uomo ricco – senza nome – e del povero Lazzaro, che ha «tratti precisi» e una «storia personale»: «Ci aiuta ad aprire gli occhi per accogliere la vita ed amarla», anche quando si presenta sotto le mentite spoglie di «un rifiuto umano».
«Aprire la porta del nostro cuore all’altro, perché ogni persona è un dono, sia il vicino sia il povero sconosciuto», ecco l’appello con cui inizia il messaggio.
«Lazzaro ci insegna che l’altro è un dono», scrive Francesco, spiegando che «la giusta relazione con le persone consiste nel riconoscerne con gratitudine il valore. Anche il povero alla porta del ricco non è un fastidioso ingombro, ma un appello a convertirsi», e la Quaresima può essere «un tempo propizio per aprire la porta a ogni bisognoso e riconoscere in lui o in lei il volto di Cristo».
«Ognuno di noi ne incontra sul proprio cammino», osserva il papa con realismo: «Ogni vita che ci viene incontro è un dono e merita accoglienza, rispetto, amore», e «la Parola di Dio ci aiuta ad aprire gli occhi per accogliere la vita e amarla».
Ma per poter fare questo «è necessario prendere sul serio quanto il vangelo ci rivela a proposito dell’uomo ricco». Il povero, nella parabola, non è «un personaggio anonimo, ha tratti ben precisi, una storia personale. Mentre per il ricco è come invisibile, per noi diventa quasi familiare, diventa un volto; e, come tale, un dono, un essere voluto, amato, ricordato da Dio, anche se la sua concreta condizione è quella di un rifiuto umano».
È la figura del ricco quella da cui ciascuno di noi deve guardarsi, mettendosi al riparo da ogni tentativo di emulazione.
Perché è nel ricco che si realizza «la corruzione del peccato», in tre momenti successivi: «l’amore per il denaro, la vanità e la superbia». Nella parabola evangelica il ricco, «al contrario del povero Lazzaro, non ha un nome», è qualificato solo come tale. «La sua opulenza si manifesta negli abiti che indossa, di un lusso esagerato»: la sua ricchezza «è eccessiva». «In lui si intravede drammaticamente la corruzione del peccato», denuncia il papa, perché «l’avidità del denaro è la radice di tutti i mali, è il principale motivo della corruzione e fonte di invidie, litigi e sospetti».
«Il denaro può arrivare a dominarci, così da diventare un idolo tirannico», ammonisce Francesco: «Invece di essere uno strumento al nostro servizio per compiere il bene ed esercitare la solidarietà, il denaro può asservire noi e il mondo intero a una logica egoistica che non lascia spazio all’amore e ostacola la pace».
Il ritratto della «cupidigia» che rende il ricco «vanitoso», contenuto nel messaggio, ci ricorda che quando una «personalità si realizza nelle apparenze», in realtà «l’apparenza maschera il vuoto interiore»: la vita del ricco «è prigioniera dell’esteriorità, della dimensione più superficiale ed effimera dell’esistenza».
«Il gradino più basso di questo degrado morale è la superbia»: è il terzo momento della «corruzione del peccato»: «L’uomo ricco si veste come se fosse un re, simula il portamento di un dio, dimenticando di essere semplicemente un mortale».
«Per l’uomo corrotto dall’amore per le ricchezze non esiste altro che il proprio io, e per questo le persone che lo circondano non entrano nel suo sguardo». Il ricco non vede Lazzaro, se non nell’aldilà, perché «nella sua vita non c’era posto per dio, l’unico suo dio essendo se stesso».
«Il frutto dell’attaccamento al denaro è una sorta di cecità», commenta Francesco: «Il ricco non vede il povero affamato. Il vero problema del ricco, la radice dei suoi mali è il non prestare ascolto alla parola di Dio», che porta «a non amare più Dio e quindi a disprezzare il prossimo». È la conclusione del messaggio, dai toni ancora una volta netti: «Chiudere il cuore al dono di Dio che parla ha come conseguenza il chiudere il cuore al dono del fratello».
La Quaresima può essere allora l’occasione per «riscoprire il dono della Parola di Dio, essere purificati dal peccato che ci acceca e servire Cristo presente nei fratelli bisognosi».
Magari con un impegno concreto: aderire alle «campagne di Quaresima» che «molti organismi ecclesiali, in diverse parti del mondo, promuovono per fa crescere la cultura dell’incontro».