I fedeli non perdonano i preti attaccati al denaro
Da Papa Francesco parole severe che costringono i preti a fare un severo esame di coscienza. A lui dobbiamo dire un grazie grande perché, con la sua schiettezza, a volte anche dirompente, ci richiama alla pienezza della vocazione sacerdotale, finalizzata unicamente al servizio del bene, nel distacco e nello spirito di povertà.
“Anche nella Chiesa ci sono questi, che invece di servire, di pensare agli altri, di gettare le basi, si servono della Chiesa: gli arrampicatori, attaccati ai soldi”
Parole di Papa Francesco nell’omelia a Santa Marta di venerdì scorso, nella quale narra di due figure di servi: Paolo che “si è donato tutto al servizio, sempre”, e il fattore infedele della parabola “che invece di servire gli altri, si serve degli altri”. Aggiungendo, a proposito di quest’ultimo: “E quanti sacerdoti, vescovi abbiamo visto così”.
Parole severe che costringono noi preti a fare un severo esame di coscienza
Mentre le rimeditavo, mi sono tornate alla mente due figure di preti, ben diverse l’una dall’altra. Uno era chiamato “don Palanca”: chiedeva sempre soldi ai fedeli, ma non rendeva mai conto delle entrate e delle uscite della parrocchia. La sua gente lo considerava un palancaio. E non lo amava. Alla sua morte sul suo conto in banca stavano alcune centinaia di milioni (in lire), che furono ereditate in gran parte dai familiari.
L’altro era chiamato “don Dollaro”, ma non per mancanza di stima: era, quel soprannome, un modo affettuoso per riconoscere la sua dedizione alla missione: lui chiedeva soldi, ma di tutto rendeva conto, entrate e uscite: il denaro gli serviva per le strutture della parrocchia, bisognose di interventi, e per la formazione dei fedeli, senza mai dimenticare i poveri, che sapevano di potere sempre contare su di lui.
Il suo interesse non era per i soldi, ma per la sua gente. E i soldi glie li davano volentieri, certi che nemmeno la loro polvere si attaccava alle sua dita: viveva in povertà e semplicità. Insomma, due figure di “servi” somiglianti a quelle descritte da Francesco: uno “si serviva” della missione pastorale, l’altro “serviva” Dio e la comunità.
Preti & Soldi
Dal comportamento del prete di fronte al denaro dipende in maniera decisiva la risposta dei fedeli alla sua azione pastorale
Il tema messo in luce da Papa Francesco è di quelli che non possono essere trascurati
Dal comportamento dei preti di fronte al denaro dipende in maniera decisiva la risposta dei fedeli alla loro azione pastorale. I fedeli al loro prete perdonano il carattere difficile, gli sfoghi amari e anche cose più serie, ma non l’attaccamento al denaro. Come non apprezzano quelli che danno l’impressione di lavorare nel campo del Signore per apparire, per salire più in alto nella… carriera ecclesiastica: i carrieristi, gli “arrampicatori” di cui parla il Papa.
Certo, tutti noi preti abbiamo bisogno del denaro per vivere, ma non può essere questo lo scopo del nostro lavoro pastorale
Desideriamo una parrocchia che ci doni soddisfazioni pastorali, ma la finalità non può essere il fare carriera, bensì il servire il Regno di Dio.
Non posso chiudere qusta nota senza ricordare un prete che, in questi giorni, compie cent’anni in piena lucidità, amato da tutti: è provvisoriamente in casa di cura dopo un intervento chirurgico. L’amore che lo circonda nella città è ben motivato. Ha dedicato la sua vita agli ultimi senza tenere nulla per sé.
Nella sua casa – chiamata “la casetta” – si era riservato solo una stanza: il resto era dedicato all’accoglienza dei primi giovani africani immigrati, ai quali dava tutto, cibo, vestiti, soldi per il necessario. Per sé nulla.
Accadeva a volte che, in tarda mattinata, incontrandolo, alcune persone gli chiedessero se avesse fatto colazione… no, non aveva avuto il necessario. E lo accompagnavano al bar per uno spuntino. E a mezzogiorno gli si chiedeva: “Ha qualcosa da mangiare oggi?”. “Vedrò”, era la risposta. E lo portavano a casa loro.
Non mancano gli esempi di preti cosi, che riescono a fare dimenticare gli altri di cui ha parlato Papa Francesco. Al quale dobbiamo dire un grazie grande perché, con la sua schiettezza, a volte anche dirompente, ci richiama alla pienezza della vocazione sacerdotale, finalizzata unicamente al servizio del bene, nel distacco e nello spirito di povertà.