Integrità e responsabilità per un lavoro degno
Guai a rassegnarsi alle regole del “morte tua via mia” e dell’essere “pronti a tutto” per raggiungere i propri fini. Valori e integrità nei comportamenti possono influenzare la nostra cornice istituzionale, promuovendo nell’opinione pubblica una visione sempre più critica (e non disincantata) delle realtà in cui viviamo, contribuendo al rafforzamento, secondo il noto principio di sussidiarietà del diritto, di quei sistemi di controllo sociale extra-legale in grado di orientare i comportamenti dei singoli senza limitarne la libertà ma rispettandone la dignità, nel segno di uno sviluppo umano integrale.
Capita di leggere del funzionario della pubblica amministrazione che affida un contratto d’appalto ad una determinata impresa con lo scopo di trarne vantaggi, o del politico che esercita la propria influenza per ottenere il consenso a fronte di favori, o del giudice che esercita la propria funzione giurisdizionale perseguendo finalità distorte.
Avviene pure, come nel caso recentemente balzato agli onori della cronaca di quell’imprenditore accusato di istigazione alla corruzione per aver regalato ad un sindaco una confezione di biscotti "con sorpresa", che un’impresa tenti di sottrarsi alle regole di mercato con espedienti illeciti, o che si ricorra al lavoro nero per trarre più profitti, o che si ricorra al ricatto del precariato non per oggettive e temporanee esigenze aziendali ma per tenere sotto scacco i lavoratori.
Capita, infine, che per ottenere una parte in un film e, più in generale, per lavorare vengano richiesti favori sessuali o commessi abusi della peggior specie che feriscono la dignità della donna.
Siamo alla putrefazione dei rapporti umani, rispetto alla quale è quasi raro stupirsi ancora.
La tendenza, pericolosa, è ritenere tali comportamenti – tanto dalla parte del corruttore quanto del corrotto – le conseguenze inevitabili di un sistema degenerato nel quale le virtù lasciano spazio all’arte di arrangiarsi per sopravvivere. Sono le regole del "morte tua via mia" e dell’essere "pronti a tutto" per raggiungere i propri fini: le cifre di un sistema disumanizzante che caratterizza molte delle nostre relazioni sociali.
Vale la pena soffermarsi su due aspetti.
Da un lato, che dietro ad un corrotto c’è sempre un corruttore che, a fronte dell’ottenimento di un proprio vantaggio, sacrifica il bene comune, ovvero, detto in altro modo, che dietro ad un imprenditore che sfrutta il lavoro altrui c’è sempre un altro lavoratore che vede lesi i suoi diritti e che non farà il bene dell’azienda in cui lavora o, ancora, che dietro ad un lavoratore incapace di far bene il proprio lavoro e di contribuire al bene dell’azienda, c’è sempre un’imprenditore ed una comunità di lavoratori che ne pagano il costo.
Dall’altro, che funzionari della pubblica amministrazione, politici, imprenditori, operai, manager, professionisti e artigiani sono tutti accomunati dal fatto di essere, sebbene con ruoli e responsabilità diverse, allo stesso modo dei lavoratori.
Entrambi gli aspetti poc’anzi citati svelano come – anche sul complesso terreno del lavoro umano – sussista una relazionalità che pone tutti gli attori coinvolti in tali vicende, almeno sul piano oggettivo, sullo stesso piano.
Ciò significa che – ce lo ha ricordato la Settimana Sociale dei Cattolici di Cagliari – un lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale richiede istituzioni, uomini di impresa e lavoratori capaci, attraverso la loro reciproca interazione e collaborazione, di dar vita a processi di sviluppo economico inclusivo. In un contesto caratterizzato dalla presenza di immanenti strutture di peccato – come le definiva Giovanni Paolo II nella Sollicitudo Rei Socialis – in cui è avvolta la nostra vita personale, familiare e sociale, ciò richiede sovrabbondanza di valori personali e integrità dei comportamenti.
Valori e integrità rilevano sia a livello individuale che sociale.
La natura relazionale della persona si riflette infatti sul lavoro umano nel senso che l’attività lavorativa posta in essere da ciascuno contribuisce, proprio attraverso il suo essere in relazione con il lavoro di altre persone, a generare quello sviluppo integrale il cui centro è la persona.
Ciò significa che, affinché il lavoro possa essere ritenuto degno della persona, non basta che esso sia ben fatto, secondo i canoni propri di ciascuna professione, oppure in grado di produrre profitti per sé e per la propria organizzazione. Ciò che rileva in questa prospettiva è la sua capacità di contribuire ad instaurare relazioni positive tra i diversi attori coinvolti nei processi produttivi, di consumo e di investimento, capaci a loro volta di promuovere inclusione sociale e la libera partecipazione di ciascuno all’opera creatrice.
La promozione di un lavoro degno e dignitoso passa dunque dalle scelte di ciascuno di noi e, in particolare, dai valori che viviamo sul lavoro, nelle nostre relazioni sociali e in famiglia, nonché, dal grado di integrità dei nostri comportamenti.
Valori e integrità nei comportamenti che, se testimoniati in modo autentico, possono a loro volta influenzare la nostra cornice istituzionale, promuovendo nell’opinione pubblica una visione sempre più critica (e non disincantata) delle realtà in cui viviamo, contribuendo al rafforzamento, secondo il noto principio di sussidiarietà del diritto, di quei sistemi di controllo sociale extra-legale in grado di orientare i comportamenti dei singoli senza limitarne la libertà ma rispettandone la dignità, nel segno di uno sviluppo umano integrale.