Parla il Procuratore di Reggio Calabria: la 'ndrangheta non ha confini, paga in contanti e "droga" l'economia
Disciplina, una rete di contatti e affari che scavalca i continenti, tanti soldi e infiltrazioni nella politica: Federico Cafiero De Raho spiega le ragioni del "successo" della più radicata e potente organizzazione criminale italiana. Un "anti Stato" che sottrae risorse alle imprese e ruba il lavoro alle persone oneste. E la Chiesa? "Sta costruendo una cultura della legalità", vera arma contro i mafiosi.
La ‘ndrangheta è oggi riconosciuta come l’organizzazione criminale più forte e radicata sul territorio nazionale ed europeo oltre che in altri Paesi come in America e Australia.
Basta leggere la relazione della Direzione nazionale antimafia: le prime 40 pagine sono dedicate alla ‘ndrangheta.
Federico Cafiero De Raho è Procuratore della Repubblica a Reggio Calabria. La sua lettura del fenomeno ‘ndranghetistico è davvero preoccupante.
Davvero l’Italia è nelle mani della ‘ndrangheta?
Nell’ultima relazione, diversamente dagli altri anni, la ‘ndrangheta è stata l’organizzazione criminale trattata per prima e questo è già un segnale importante. Non solo: vengono anche evidenziati i passi in avanti che sono stati compiuti grazie alle indagini: è stato scoperto che questa organizzazione criminale ha un organismo di vertice in Italia; che sulla provincia di Reggio Calabria esiste un mandamento Jonico, uno sulla città e un mandamento Tirrenico.
Di cosa si occupa l’organismo di vertice mafioso?
È in grado di garantire disciplina, ma consente anche che cosche appartenenti all’una o all’altra parte della Calabria possano compartecipare negli affari. Infatti in più occasioni notiamo che cosche della Tirrenica operano con cosche della Jonica, non solo nel traffico internazionale di cocaina.
Anche nel reinvestimento di alcune attività economiche troviamo esponenti di cosche diverse. Così come per le attività di usura, svolte anche al nord, emerge che la ‘ndrangheta opera con soggetti che appartengono a cosche di mandamenti diversi e che insieme prestano denaro a numerosi imprenditori e poi, nel momento in cui qualcuno non riesce a restituire il denaro, inizialmente con “cortesia”, successivamente con metodi tipicamente mafiosi costringono al pagamento o alla cessione dell’attività economica.
La ‘ndrangheta, quindi, non è solo un problema calabrese…
In Calabria e nella provincia di Reggio c’è la testa, ma esistono articolazioni locali – autonome nell’operatività ma non nei collegamenti – al nord. A Milano, Torino, in Liguria, in Veneto la ‘ndrangheta si è sviluppata nel tempo acquisendo una forza sempre maggiore.
D’altro canto lo scioglimento dei Comuni del nord dimostra che la ‘ndrangheta riesce a controllare l’amministrazione pubblica e il fatto che vengano interessati anche i comuni piccoli dà l’idea di quanto la ‘ndrangheta riesca a infiltrarsi nei territori e a inquinare politica ed economia.
Come avviene questo inquinamento?
I mafiosi hanno una grande capacità di stringere rapporti, di concludere affari, soprattutto perché intervengono con tanto danaro. Basta pensare al fatto che la ‘ndrangheta è riuscita a creare basi locali anche in vari Paesi europei: Svizzera, Irlanda e Germania. E queste articolazioni sono quelle attraverso cui viene gestito il traffico della cocaina.
C’è una rete europea?
Quando la cocaina entra nel porto di Gioia Tauro riesce ad avere poi una distribuzione in altre parti del territorio nazionale ed ugualmente arriva in altri porti d’Europa ed è sempre la ‘ndrangheta che la gestisce attraverso un’organizzazione ormai rodata.
Questo dimostra che la mafia ha una capacità economica e criminale di livello altissimo. D’altro canto la ‘ndrangheta riesce ad avere broker della cocaina in Colombia, a Panama, in Argentina, in Uruguay. La loro forza sta nel fatto che riescono a pagare tutto in contanti e in anticipo. Addirittura in un’indagine, poco più di un anno fa, emergeva che il fornitore colombiano, poiché la cosca della Jonica aveva già effettuato il versamento, fu tenuto “in ostaggio” finché non arrivò la fornitura già pagata. Potremmo dire che si sono sovvertiti i rapporti. Una volta era il criminale nostrano che veniva tenuto in ostaggio finché non veniva effettuato il pagamento, adesso è il contrario.
Esiste una vera e propria economia criminale?
La ‘ndrangheta non ha difficoltà a pagare, soldi ne ha all’infinito, e questo gli consente di avere rapporti con qualsiasi organizzazione criminale e con le quali stringe accordi cui non viene mai meno.
È l’organizzazione malavitosa più “credibile”
e proprio per questo riesce a entrare in simbiosi e sinergia con le altre organizzazioni mafiose e con i produttori di cocaina. Il denaro della ‘ndrangheta è talmente tanto che finisce necessariamente nel libero mercato.
L’inquinamento dell’economia è una questione che andrebbe affrontata con grande preoccupazione.
La ‘ndrangheta andrebbe ostacolata con forze ancora maggiori: non che non venga combattuta con una legislazione che è ottima, con uomini dello Stato che sono fra i migliori al mondo, ma occorrerebbe addirittura uno sforzo maggiore per impedire a questi criminali di reimpiegare e riciclare il denaro in un’economia sommersa e di cui non riusciamo a comprendere le reali conseguenze.
Potremmo dire che la ‘ndrangheta “droga” l’economia italiana e il mercato del lavoro?
Certamente toglie lavoro ad altri, alle imprese corrette che però hanno difficoltà a lavorare. Soprattutto in periodi di crisi, è evidente che chi riesce ad avere soldi e a farli entrare in modo occulto nella propria impresa ha un’agevolazione poi nell’ottenimento dei risultati che gli consente di competere con altre società. D’altro canto, società che sono sostenute dalla ‘ndrangheta da un lato ricevono iniezioni di ricchezza occulte, dall’altro hanno una protezione personale molto efficace: fanno comprendere chi sono e spesso non trovano ostacolo nei circuiti di affidamento degli appalti. Anzi, alla fine tutti vogliono stare tranquilli e per stare tranquilli superano qualche regola…
Sentendo parlare di appalti viene spontaneo pensare alla politica. Che rapporto c’è tra politica e ‘ndrangheta?
Si tratta del settore nel quale vi è più difficoltà di indagine, perché spesso emerge come i rapporti della ‘ndrangheta con alcuni esponenti politici siano rapporti che nascono lontano nel tempo e via via questi rapporti finiscono per essere sempre più stretti.
Potremmo dire che la ‘ndrangheta “forma” il soggetto verso la politica e lo sostiene. E questo è sostanzialmente un meccanismo che diventa difficile focalizzare e contrastare tempestivamente. Io credo che sia la stessa politica che deve trovare le modalità per selezionare gli uomini che ammette; le indagini sono troppo lente rispetto alla velocità con la quale la ‘ndrangheta recluta uomini per poi finalizzarli alla vita politica.
D’altro canto, il voto e il condizionamento di voto da parte della ‘ndrangheta è questione che viene affrontata da anni. Nonostante si abbiano strumenti normativi particolarmente efficaci, non sempre è facile e soprattutto tempestivo intervenire. Probabilmente per ostacolare appieno la ‘ndrangheta occorrerebbe che la politica assumesse meccanismi di controllo propri in modo da impedire ai sospetti di mafia di entrare in politica.
La Chiesa cosa può fare e cosa deve fare meglio per cercare di arginare il fenomeno mafioso e la corruzione?
Sottolineerei quanto sia importante l’azione della Chiesa in questi ultimi tempi. In Calabria c’è stato un movimento di pensiero incoraggiato dai vescovi, sembra quasi un cambiamento di rotta. Questo non significa che in passato la Chiesa non abbia dato delle indicazioni precise, ma è come se i temi della collusione o anche quello del condizionamento della ‘ndrangheta potessero essere trattati a intermittenza, per cui c’erano dei momenti in cui se ne parlava e altri in cui c’era silenzio. Oggi invece vi è una costanza nell’affermare i valori della Chiesa che sono valori incompatibili con i comportamenti di ‘ndrangheta e corruzione.
La fermezza della Chiesa in questi ultimi tempi sta dando messaggi chiari.
Non c’è più una sorta di separazione fra Stato e Chiesa, quasi come se i principi che governavano la vita dei fedeli fossero diversi da quelli che governavano la vita sociale. Il rispetto della dignità umana è un valore sia per la Chiesa sia per lo Stato.
In questo momento è come se ci fosse un’azione concentrica, come se il corrotto e l’uomo di ‘ndrangheta fossero accerchiati da una cultura nuova, una cultura della legalità che non è soltanto l’applicazione della legge. I sacerdoti che oggi parlano pubblicamente contro la corruzione e contro la ‘ndrangheta danno un segnale univoco e riescono a far comprendere che è passato il tempo in cui si poteva pensare di essere contemporaneamente cristiani e ‘ndranghetisti.
Davide Imeneo