Coppia e famiglia: tenere le porte aperte, soprattutto
Dopo due anni di riflessioni sulla coppia e la famiglia, prima e dopo il sinodo di ottobre, emergono importanti spunti di riflessione. Non sono pochi, per esempio, quelli che si sentono espropriati della possibilità di decidere cosa e come fare in famiglia, nella sessualità, ecc. perché la chiesa ha regole per tutto. Si sentono buttati fuori dalla propria vita (o chiusi dentro) da indicazioni sentite estranee. Tenere le porte aperte non significa buttare a mare etica, morale e diritto, ma far capire che la persona vale più delle leggi, degli errori che ha commesso e dell’immaturità che si trascina.
Gennaio 2014-dicembre 2015, tanto il tempo dedicato dal centro universitario al dibattito sui temi legati alla coppia e alla famiglia: due anni esatti, articolati in tre arcate. La prima finalizzata alla comprensione del questionario in vista del pre-sinodo e alla risposta ai quesiti, la seconda per studiare temi che affiorano spesso negli interventi ecclesiali sulla famiglia (legge naturale, indissolubilità del matrimonio, ecc.), la terza, in concomitanza con il sinodo, per creare dei ponti tra le relazioni d’amore e la tradizione della chiesa. Ecco alcuni spunti di riflessione emersi in itinere.
Attivare spazi reali di incontro per le famiglie e le coppie
Urge che le comunità cristiane attivino dei luoghi di ascolto-confronto-discussione che consentano, a chi interessato, di condividere il proprio vissuto, interpretarlo alla luce della Parola, proiettarlo nel futuro. Questo vale per qualsiasi tema, a maggior ragione per le relazioni d’amore. Ci siamo accorti di come certe questioni vengano trattate sull’onda dei mass-media, per i quali spesso una certa situazione (separazione, divorzio, omosessualità, adozione, convivenza, ecc.) diventa un caso rispetto al quale schierarsi a favore o contro, a volte anche in contrasto con i propri vissuti personali. La vita vera passa in secondo piano. Servono occasioni di incontro tra persone, per imparare a dialogare a partire dalla vita e non dai manuali o dai dispacci d’agenzia.
Tenere le porte aperte
Chi è chiuso fuori di casa si sente escluso, chi è bloccato dentro si sente prigioniero.
Non sono pochi quelli che si sentono espropriati della possibilità di decidere cosa e come fare in famiglia, nella sessualità, ecc. perché la chiesa ha regole per tutto. Si sentono buttati fuori dalla propria vita (o chiusi dentro) da indicazioni sentite estranee. Tenere le porte aperte non significa buttare a mare etica, morale e diritto, ma far capire che la persona vale più delle leggi, degli errori che ha commesso e dell’immaturità che si trascina.
A maggior ragione in quest’anno giubilare, il segno della porta aperta deve caratterizzare lo stile dell’essere chiesa, per non correre il rischio che i pastori confezionino grossi fardelli che poi fanno portare agli altri. Il bene ha tante sfaccettature e ciò che è buono per la coppia e la famiglia si impara vivendo insieme al loro interno.
Riconoscere che un amore possa finire
Può essere che dopo anni di vita comune si debba constatare che l’amore è finito, che dopo 3, 10, 20 anni di relazione autentica, magari anche in presenza di figli, il matrimonio diventi una scatola vuota. Come può continuare a essere segno e strumento dell’amore di Dio? Questo avviene certo per quella sklerokardia (durezza di cuore) che ha portato Mosè a contemplare la possibilità del ripudio, come ha detto Gesù intendendo riaffermare il progetto delle origini. Ma perché fingere che non avvenga ancora?
L’ideale di un amore unico e indissolubile è quanto di più bello un uomo e una donna si possano augurare ma, quando si infrange per la debolezza umana, come fare perché non si trasformi in un cappio soffocante?
Superare il regime concordatario
Il valore e l’utilità del regime concordatario sono evidenti. Nello stesso tempo la secolarizzazione da una parte, il cambiamento delle abitudini e dei costumi dall’altra rendono il connubio tra il matrimonio religioso e quello civile limitante, specie per l’ordinamento canonico, che per salvaguardare l’efficacia civile del proprio matrimonio, deve modellarlo su quanto disposto dalla legge civile in rapidissima evoluzione.
Ecco perché forse sarebbe più rispettoso della libertà religiosa dei cattolici che la chiesa si sganciasse da questo regime, proponendo in totale autonomia un modello di matrimonio che non rinunci a coordinate essenziali che vengono dalla Scrittura e dalla Tradizione.
In secondo luogo il cammino di fede di una persona ha tempi imprevedibili rispetto al passato: può capitare che uno lo abbandoni dopo la cresima e lo riprenda da adulto, con alle spalle un matrimonio in chiesa, celebrato con una adesione alla “dottrina” appena sufficiente per avere i debiti permessi, e magari fallito. Non sarebbe più rispettoso della sacramentalità del matrimonio viverlo all’interno di un reale cammino di fede? Nel caso del fallimento, perché negare, quando uno ne apprezza finalmente il valore e ne sente il desiderio, quello che ha sciupato, quando non ne capiva pienamente il senso?
Puntare sul fidanzamento
Il fidanzamento è il tempo in cui due si preparano al matrimonio, un tempo di grazia, di attesa, di progetti. Al termine, il matrimonio: se uno sbaglia, è segnato per sempre, a meno che non si dimostri che il matrimonio era nullo.
Si può pensare a un’articolazione del fidanzamento sulla falsariga di quanto avviene per i religiosi, che hanno, dopo il noviziato, i voti semplici per alcuni anni: al termine di ciascun anno si può lasciare la vita religiosa senza bisogno di dispense. Solo dopo un periodo di almeno sei anni si emettono gli impegni definitivi che incardinano per sempre in una comunità.
Perché non studiare qualcosa di analogo, che aiuti a vivere con intensità la preparazione alle nozze e sia occasione per crescere nella conoscenza di sé e del partner e del progetto di Dio sulla coppia?