Prima in pensione, l’accordo è più vicino
La trattativa tra governo e sindacati sulle ipotesi di anticipo dell'età pensionabile paiono bene indirizzate. Il nodo da sciogliere riguarda l’anticipo pensionistico. L’appello di Boeri (Inps): «Chiediamo un contributo ai titolari di assegni privilegiati».
La storia del sistema pensionistico italiano è in continua evoluzione. Una storia attraversata da molte riforme, divenute sempre più frequenti a partire dal 1992 con il pacchetto Amato, inaugurando una fase di contrazione con i tagli alla spesa, fino ad arrivare alla tanto contestata riforma Fornero del 2011. E anche il 2016 non è immune da questa pratica, viste le discussioni aperte tra ministero del lavoro e sindacati.
Accordo in vista: sarà il 27 settembre?
Con numerosi nodi da sciogliere, ma con l’idea di sigillare definitivamente un accordo, probabilmente il 27 settembre. Un tavolo di trattativa che pone al centro uno stanziamento, previsto per il 2017, di oltre un miliardo di euro per il pacchetto pensioni, che però si scontra con quanto richiesto in più riprese dalle sigle sindacali.
Ma cosa contiene quest’ingente somma messa in campo dal governo?
Secondo quanto emerso dagli incontri, le risorse stanziate per coprire l’Anticipo del prestito pensionistico (Ape, ossia quel marchingegno che dovrebbe consentire il pensionamento anticipato attraverso l’erogazione di un prestito rimborsabile tramite il circuito bancario, sotto la regia dell’Inps) saranno pari a circa 500 milioni.
Per il rafforzamento della quattordicesima si spenderanno in più circa 600 milioni, mentre altri 250 milioni saranno destinati all’ampliamento della “no tax area”.
Una somma quantificata in 100 milioni è poi prevista per rendere le ricongiunzioni tra diversi periodi assicurativi non onerose, mentre altri 100 milioni si rendono necessari per allargare le maglie delle attività usuranti, dato che i vantaggi sull’uscita anticipata rispetto all’età di vecchiaia possano riguardare anche categorie come gli operai edili, le maestre d’asilo e gli infermieri.
Ma soffermiamoci sui punti che maggiormente dividono le controparti.
Primo scoglio è rappresentato dall’Ape, previsto per due anni, che può essere chiesto dal 2017 a partire dai 63 anni di età, ossia 3 anni e sette mesi prima del raggiungimento della pensione di vecchiaia.
Questa flessibilità in uscita risulta molto conveniente per le categorie disagiate (che comprendono i disoccupati, i precoci e i lavoratori impegnati in attività usuranti) e per chi ha un assegno mensile di 1.500 euro lordi al mese, mentre potrebbe risultare dispendiosa, fino al 25 per cento dell’importo della pensione secondo alcune stime, per coloro che volontariamente decidono di lasciare il lavoro.
Altro fronte riguarda i precoci: quanto allo studio, esso è rivolto a coloro che hanno iniziato la carriera lavorativa prima dei 18 anni.
Con la discussione incentrata sulla definizione “anagrafica” di precoci: o i lavoratori che hanno effettuato 12 mesi di lavoro prima dei 18 anni di età o coloro che hanno iniziato a lavorare almeno 24 mesi prima della maggiore età. Da verificare, poi, se fissare l’asticella per l’uscita in anticipo per questa categoria a 41 anni di contributi o a 41 anni e 10 mesi.
In questa giungla di cifre e date sembra perdersi, tuttavia, un aspetto rilevante, oscurato dalle fronde della sostenibilità finanziaria, ossia l’equità.
E proprio su questo tema il presidente dell’Inps, Tito Boeri, in un’intervista si è scagliato contro i vitalizi (in particolare dei politici) che risultano ingiustificati alla luce dei limitati contributi versati.
«Non è il caso – si chiede Boeri – di chiedere, ai detentori di assegni privilegiati, un contributo che possa alleggerire i conti previdenziali?» Un’operazione, questa, che «permetterebbe – aggiunge – di fare qualche operazione di redistribuzione, per esempio andando ad aiutare quelle persone che si trovano in quella fascia di età prima della pensione e che sono in condizione di povertà».
Marco Franceschini