La Coldiretti annuncia battaglia sul Ceta
L'accordo internazionale che Italia e Canada si apprestano a firmare per il libero scambio di prodotti agroalimentari, solleva non poche criticità da parte della Coldiretti, che intende tutelare fino in fondo le aziende italiane e i prodotti agroalimentari made in Italy.
«Si apre una nuova stagione “calda”, non solo dal punto di vista meteorologico, per l’agricoltura, che ovviamente vede Coldiretti impegnata come “forza sociale”, con un preciso progetto economico per noi agricoltori e per l’intero paese.
Non possiamo restare indifferenti alle iniziative che mettono in discussione ciò in cui crediamo e minacciano il patrimonio rappresentato dalla nostra migliore agricoltura, dall’eccellenza del nostro made in Italy. Nei prossimi giorni scenderemo ancora in piazza, a Roma davanti a Montecitorio, per ribadire le nostre preoccupazioni sugli impatti economici e sociali del Ceta (Comprehensive economic and trade agreement), accordo commerciale tra Unione Europea e Canada che il nostro paese dovrebbe ratificare.
Le analisi di Coldiretti evidenziano una serie di criticità irrisolte in diversi ambiti del Ceta, arrivando a mettere in discussione l’etichettatura obbligatoria dei prodotti agroalimentari. I vantaggi attesi sono assai limitati e non privi di rischi, a partire da quello di una “deregulation” ai danni del nostro made in Italy. Gli accordi di libero scambio dovrebbero tenere conto invece di aspetti come la salvaguardia dell’occupazione, i diritti umani, la coesione sociale e lo sviluppo sostenibile».
È così che Federico Miotto, presidente Coldiretti Padova, ha annunciato la prossima battaglia per affermare i molti dubbi e perplessità espressi già prima della stretta finale della ratifica sugli accordi. «Nella nostra azione stiamo coinvolgendo tutti i sindaci del territorio, chiedendo di approvare la nostra proposta di ordine del giorno nella quale si ribadisce che il Ceta introduce un meccanismo di deregolamentazione degli scambi e degli investimenti che non giova alla causa del libero commercio e pregiudica in modo significativo la qualità, la competitività e l’identità del sistema agricolo nazionale». C’è, infatti, il timore che questo accordo non solo legalizzi la pirateria alimentare, accordando il via libera alle imitazioni canadesi dei prodotti più tipici, ma spalanchi le porte all’invasione di grano duro trattato in preraccolta con il glifosato, vietato in Italia, e di ingenti quantitativi di carne a dazio zero (circa 50 mila tonnellate di carne di manzo e 75 mila tonnellate di carni suine).
Il dossier Coldiretti parla chiaro: delle 291 denominazioni made in Italy registrate solo 41 risultano protette, peraltro con il via libera all’uso di libere traduzioni dei nomi dei prodotti tricolori (un esempio è il parmesan) e alla possibilità di usare le espressioni “tipo; stile o imitazione”. Lo stesso governo canadese si è già mosso per sollevare questioni di compatibilità del trattato con il decreto di indicazione obbligatoria dell’origine della pasta che l’Italia ha depositato a Bruxelles.
A rischio è lo stesso principio di precauzione, visto che la legislazione canadese ammette l’utilizzo di prodotti chimici vietati in Europa. «La nostra posizione – conclude Miotto – affonda le radici su due terreni. Il primo, economico, legato alla difesa delle imprese agricole, alla tutela e allo sviluppo del made in Italy, modello di sviluppo, coesione e crescita per il paese e per la comunità. Il secondo è legato al bene comune».