Mons. Santin, vescovo di Trieste, difese chiunque fosse perseguitato
Venerdì 3 febbraio alla loggia della Gran Guardia a Padova viene ricordato mons. Antonio Santin, vescovo di Trieste a partire dal 1938 che si distinse in quegli anni bui per aver protetto tutti i perseguitati e per aver affrontato Mussolini (due volte), ma anche i soldati di Tito e le milizie alleate. Non si fece mai intimorire e per questo è chiamato "defensor civitatis" e "vescovo con gli speroni". Una figura cardine da riscoprire in questi giorni tra la Giornata della memoria e il Giorno del ricordo. Interviene don Ettore Mannati che fu suo segretario particolare fino alla morte.
Venerdì 3 febbraio alle 10 in sala della Gran Guardia in piazza dei Signori don Ettore Mannati, suo segretario fino alla morte, avvenuta a Trieste nel 1981, ricorda la figura di mons. Antonio Santin, definito “defensor civitatis”, “vescovo con gli speroni”, o più semplicemente un vero pastore perché al momento debito ha salvato gli sloveni e i croati, quando venivano vessati dal nazifascismo, appena nominato vescovo di Trieste ha affrontato Mussolini sul sagrato di San Giusto per aver varato le leggi razziste e infine, quando nel 1947 è andato a Capodistria a impartire la cresima, è stato malmenato dai soldati di Tito. A Trieste è stato il riferimento degli esuli e di tutti i perseguitati, compresi gli ebrei. Ha fatto costruire il santuario di monte Grisa, con la Madonna che abbraccia tutto il golfo e l’intera Venezia Giulia.
Mons. Santin era nato a Rovigno l’8 dicembre 1895 da una numerosa famiglia di pescatori-operai, primogenito di 11 figli; compì gli studi seminariali sotto l’aquila austro-ungarica, grazie agli sforzi di tutta la famiglia e di alcuni benefattori, ricevendo l’ordinazione nelle mani del vescovo di Trieste mons. Karlin il 1° maggio del 1918. Cominciò quindi la sua esperienza di parroco a Momorano e poi a Pola, falcidiata dalla spagnola.
Qui, con sua grande sorpresa, fu consacrato vescovo di Fiume nel 1933. Giunse alla guida della diocesi di Trieste e Capodistria nel 1938, succedendo a mons. Luigi Fogar, inviso ai fascisti, e dovette quindi superare le perplessità di chi sospettava una sua arrendevolezza al regime. Fu invece fermo nella obbedienza al pontefice, il che gli causò notevoli difficoltà nei confronti della dittatura, che osteggiava la predicazione in sloveno. Affrontò Mussolini, per due volte: si fece portavoce anche della causa degli ebrei vittime delle leggi razziali e si prodigò per trovare soluzione alle ostilità dei gerarchi locali nei confronti del clero sloveno e croato, disse quello che doveva dire ai nazisti tedeschi.
Non si lasciò intimidire dai comandanti nazisti, dai comunisti jugoslavi, rischiando più volte la vita, ma neanche dai generali alleati e dai funzionari governativi italiani. Sotto il suo esempio due suoi giovani sacerdoti hanno onorato il loro ministero fino al martirio: don Francesco Bonifacio, beatificato il 4 ottobre 2008 nella cattedrale di San Giusto, e don Miro Bulesich, per il quale la causa di beatificazione è in corso. Nel dopoguerra sono rimaste nel ricordo della gente soprattutto le sue visite ai campi profughi, alle varie comunità di esuli, la sua presenza costante alle inaugurazioni delle case e degli istituti e ancora le sue visite ai collegi e alle colonie, il suo sorriso e la sua parola. Per la complessità della figura e del suo tempo, Antonio Santin attende ancora la stesura di una biografia completa e ragionata.