A cento anni dalla morte del prete da battaglia Restituto Cecconelli, direttore ombra della Difesa
Scelto dal vescovo Pellizzo come esecutore della sua linea pastorale, direttore-ombra della Difesa, fervente attivista sindacale e dirigente politico, fu bruscamente allontanato da ogni incarico. Morì in un incidente automobilistico il 18 maggio 1916.
Aveva 36 anni, eppure era già un “ex” don Restituto Cecconelli quando morì tragicamente il 18 maggio 1916, cent’anni fa, in uno dei primi incidenti automobilistici registrati nella provincia padovana. Uno dei primi, ma forse non così raro, se nelle pagine dei quotidiani locali proprio il giorno prima era stato registrato un altro scontro, questo non mortale, tra un carretto e l’auto di mons. Pietro Zanolini, vescovo di Lodi originario di Merlara, sulla strada che da Montagnana andava a Saletto.
Don Cecconelli fu comunque il primo prete della diocesi, dopo il vescovo Pellizzo, a servirsi abitualmente dell’automobile per spostarsi e anche il primo sacerdote padovano morto a bordo del nuovo mezzo di trasporto, l’unica vittima dello scontro della vettura con un carretto al Bassanello, in località Corte Bacelle. Al momento dell’impatto don Restituto, che da pochi giorni era stato chiamato alle armi nella sanità, stava rientrando da Monselice insieme ad altri quattro commilitoni all’ospedale della Croce rossa della Rotonda.
Si trovava a bordo dell’autovettura di uno di loro e fatalità volle che fosse proprio seduto dalla parte in cui si verificò l’impatto, morendo sul colpo, mentre gli altri ne uscirono praticamente illesi. La morte e i funerali ebbero vasta risonanza sui quotidiani veneti e anche sulla Difesa del popolo, di cui era stato tra i fondatori e figura di riferimento dalla nascita del settimanale, nel gennaio del 1908, fino ai primi mesi del 1911.
Tre anni di fuoco quelli, i primi dell’episcopato del focoso friulano mons. Luigi Pellizzo. Appena arrivato nella città del Santo, il vescovo era rimasto colpito dall’energia di questo giovane prete padovano, nato a Civè di Correzzola il 28 marzo 1880 da una famiglia che aveva conosciuto la povertà, ordinato sacerdote il 19 settembre 1903 e subito messo a insegnare matematica al ginnasio del Maggiore e poi al Minore di Thiene.
Lo nominò maestro di camera e poi, il 29 febbraio 1908, presidente della direzione diocesana: una direzione che il nuovo vescovo volle creare ex novo, tutta composta da persone energiche per meglio attuare
una linea pastorale «volta a trarre – come scrive Antonio Lazzarini – i cattolici fuori di chiesa e di sacrestia per impegnarli nella società, per lanciarli nelle lotte politiche e sociali».
Questa pattuglia di nomi nuovi era composta, oltre che dal Cecconelli, da personaggi di rilievo come l’arciprete di Agna mons. Carlo Liviero, che diventerà vescovo di Città di Castello e morirà anch’egli in un incidente automobilistico nel 1932, o mons. Pio Stievano arciprete di Piove. Ma c’erano anche giovani laici come Sebastiano Schiavon, Gavino Sabadin, Cesare Crescente, Giuseppe Dalla Torre, tutti nomi che avranno un ruolo di spicco nei decenni futuri.
Su don Cecconelli comunque ruotava tutto il disegno del vescovo che, per riconquistare al cattolicesimo il terreno perduto, voleva scuotere «la pace di cimitero» in cui era piombata la diocesi, attraverso l’impegno di preti che erano sì ministri di culto e pastori integerrimi, come li voleva papa Pio X, ma anche agitatori politici, organizzatori sindacali, dirigenti di partito, promotori di iniziative sociali e civili che rivitalizzassero la vita comunitaria.
Il settimanale diocesano, insieme al quotidiano La Libertà che lo stesso Cecconelli diresse alla sua nascita, il 15 dicembre 1909, era, sotto questo punto di vista, la punta di diamante del piano di assalto e di riconquista della società padovana contro l’arrembaggio socialista, la corrosione radicale, ma anche contro il paludismo interessato di un certo padronato che vedeva nel clericalismo solo uno strumento per tenere tranquille le genti contadine affamate e sfruttate, afflitte dalla pellagra e dalla miseria endemica oltre che dalle malattie contratte vivendo in insalubri casoni di paglia e fango.
Soprattutto nel 1908-09 la Bassa Padovana fu teatro di violenti scontri con le Leghe socialiste, ma anche con i proprietari terrieri che non accettavano i “patti colonici” proposti dall’Unione cattolica del lavoro, che incitava i bovari alla resistenza e a ricorrere, se necessario, anche all’arma dello sciopero.
E fu proprio questo schieramento netto a favore del popolo che costò a Cecconelli “la testa”, dopo che nel novembre del 1910 al Congresso cattolico di Modena egli si schierò contro le unioni miste, formate da padroni e lavoratori, caldeggiate da Nicolò Rezzara, difendendo il diritto di sciopero. Il vescovo fu costretto ad allontanare il segretario che rinunciò alle sue cariche (era anche stato eletto consigliere comunale e provinciale nella delegazione di Piove) e si ritirò prima a Praglia, poi a Thiene, per finire nel gennaio 1915 cooperatore a Fonzaso e dopo pochi mesi vicario parrocchiale a San Pietro di Barbozza, dove rimase fino ai primi di maggio quando fu chiamato alle armi in sanità.
«Ad un cenno dei superiori – è scritto nel suo necrologio ufficiale – si ritirò dalla vita pubblica con una docilità e una prontezza che torna tutta a suo onore, rilevando in lui una maschia virtù, il vero spirito di disciplina». Una virtù che contraddice nei fatti le calunnie morali e politiche di cui fu bersaglio.