Tre anni fa scompariva mons. Pierantonio Gios, appassionato cercatore di verità nella storia
Il prete asiaghese riuscì nei suoi studi e nella sua vita a tenere insieme l’attenta lettura dei fatti umani, storici e attuali, con una grande generosità che lo portava a cercare la bellezza nascosta in ogni persona. La sua comunità lo ricorda con un volume curato da Liliana Billanovich.
«Un fratello che mi aveva insegnato a trovare il cielo amando la terra, un prete innamorato di che mi aveva insegnato a trovare il Cristo perché innamorato dell’uomo, un cercatore appassionato della verità dentro la storia e della bellezza nascosta nel cuore di ogni persona che incontri».
Con questa citazione, dell’arciprete di Asiago don Roberto Bonomo, si conclude il quaderno con cui la studiosa Liliana Billanovich, docente di storia della chiesa e di storia dei rapporti tra stato e chiesa all’università di Padova, ha ricordato lo storico mons. Pierantonio Gios nel terzo anniversario della scomparsa.
Il “ricordo con profilo bio-bibliografico” è stato presentato in un recente incontro ad Asiago, a cui hanno partecipato anche don Quintino Creuso, compagno di classe in seminario, Giorgio Zangarelli, amico ed editore di alcuni volumi di don Gios, e Marina Strazzabosco.
La citazione finale ha il pregio di tenere insieme efficacemente i due lati di mons. Gios, il prete nato ad Asiago il 2 marzo 1940 e ad Asiago venuto a morire, il 19 luglio 2014, che ha consacrato la sua vita sacerdotale alla ricerca storico ecclesiale, a servizio della sua diocesi, ma che non ha mai smesso di tener desto il rapporto con il suo altopiano, anche venendo a svolgere settimanalmente la funzione di cappellano festivo nella sua terra, fedele alle confessioni e alla messa al sacrario.
Ha anche il merito di individuarne lo stile, il medesimo tenuto dallo studioso e dall’uomo, che l’amica e collega con parole lucidissime, senza dimenticare d’essere affettuose, gli dedica.
Non ci resta che scorrere i capitoli della lettura biobibliografica, a partire dagli studi in seminario e poi da quelli a livello universitario a Milano e a Roma, con la laurea sul vescovo di Padova Pietro Barozzi.
Come professore di storia della chiesa, Gios ha insegnato in seminario, nella Facoltà teologica dell’Italia settentrionale e nella Facoltà del Triveneto ricoprendo contemporaneamente l’incarico di direttore della biblioteca del seminario e poi dell’archivio storico diocesano, con annessa biblioteca Capitolare, e di segretario dell’Istituto per la storia ecclesiastica padovana.
In questa funzione è stato promotore di un’intensa sinergia con l’università di Padova e di almeno due significativi progetti di ricerca: l’edizione scientifica dell’epistolario di Gregorio Barbarigo (che Liliana Billanovich ha
diretto e coordinato) e la pubblicazione in tre volumi, usciti quando Gios era già morto, sui manoscritti e gli incunaboli della Capitolare tra medioevo e rinascimento, che proseguiva un lavoro affine fatto per la biblioteca del Seminario.
Accanto al lavoro di organizzatore, quello di storico è stato svolto da mons. Gios muovendosi con competenza lungo i secoli della storia, passando dal Quattrocento di Pietro Barozzi al Seicento di Gregorio Barbarigo, dal Settecento di Carlo Rezzonico al Novecento di Carlo Agostini, dei preti padovani nella guerra e nella resistenza, di Filippo Franceschi.
Una ricerca sempre ampia e accurata, costantemente accesa dai desiderio di attingere alle fonti d’archivio, spesso inedite o trascurate, come le cronistorie delle parrocchie, di farle parlare portando l’attenzione «sulle cose, sui fatti, per dare a loro la possibilità di essere eloquenti quasi da soli».
L’attenzione ai fatti non era però un modo per restare neutrale, per nascondersi dietro l’asettica lettura degli stessi.
Mons. Gios era uno “spirito libero” che seguiva con coerenza e autonomia le sue piste di lavoro, appassionato del suo compito, «capace com’era di immettere nella pratica storiografica tutto il calore della passione, anche civile e politica, che lo animava».
Un dato evidente in tutte le occasioni, anche quando sapeva ritagliare aspetti inediti perfino nella consolidata agiografia di san Gregorio Barbarigo, ma soprattutto nelle pubblicazioni dedicate alla resistenza sull’Altopiano di Asiago.
«Puntuali ricerche – scrive Liliana Billanovich – compiute da Gios su vicende resistenziali scabrose e controverse (a partire da quella riguardante il gruppo partigiano di Fontanelle di Conco) hanno portato a ricostruzioni e narrazioni storiche che hanno suscitato, da parte di gelosi custodi istituzionali della memoria partigiana, polemiche e contestazioni, da leggersi anche sullo sfondo di contrapposizioni radicate nella storia passata e ancora operanti nei vissuti di protagonisti o eredi dei tragici eventi di quella guerra civile che divise le popolazioni dell’Altipiano».
Le polemiche non l’hanno spaventato «convinto altresì di condurre una battaglia di alto valore etico-civile, pure al fine di favorire forme di pacificazione, non certo affidate alla fittizia costruzione di una “memoria condivisa” o a revisionismi alteranti i termini del conflitto allora consumatosi, bensì fondate sul comune riconoscimento di una verità ricostruita e spiegata in modo attendibile, premessa per oneste e rasserenanti ammissioni di responsabilità, così da far spazio al superamento delle laceranti divisioni derivate dai fatti cruenti del passato, lasciando alle spalle gli strascichi di odi e rancori».
Il tutto nel quadro del concetto che mons. Gios aveva del mestiere di storico come servizio alla verità, non disgiunto dal servizio, di essenziale importanza, alla chiesa, «non nella prospettiva di concorrere a celebrare, difendere o esaltare l’istituzione cattolica, bensì nell’intento onesto e sincero di ricercare e accertare la verità storica qualunque essa fosse».
Un atteggiamento che le rivelava il prete fortemente imbevuto di spirito conciliare «per la convinta adesione a quello che può esser ritenuto l’elemento portante del nuovo corso imboccato dalla chiesa conciliare, ossia il mutato approccio verso la storia, con la conseguente attenzione ai “segni dei tempi” e la riconsiderazione dei processi della modernità, con la rilettura del vangelo in rapporto alla concretezza delle situazioni umane, sociali, culturali del presente, ovvero la sua ri-comprensione alla luce della realtà storica contemporanea».