Servi del popolo di Dio, soprattutto degli ultimi
Sabato 25 in Cattedrale il vescovo Antonio ordina diaconi sei seminaristi del maggiore e un religioso dei frati conventuali. «Il diaconato, anche se per loro ha i tratti di qualcosa di passeggero, è definitivo. Definitivo è il sì a Dio e alla chiesa, il servizio e il dono di sé».
Sabato 25 ottobre il vescovo Antonio ordinerà sette diaconi, sei diocesani e un religioso dei frati conventuali: Fabio Bertin di Turri, Matteo Seu di Rosignano Solvay (Livorno), Roberto Frigo di Ospedaletto Euganeo, Alessandro Fusari di Cornegliana, Nicolò Rocelli di Monselice, Nicola Carolo di Villanova e fra Daniele La Pera di Messina.
Per loro il diaconato è una tappa verso il presbiterato che, a Dio piacendo, arriverà nel prossimo giugno. In realtà il diaconato non è una delle tante tappe ma è il primo grado del sacramento dell’ordine e si tratta di una scelta definitiva.
La gente li potrà chiamare “don”, il vescovo e la diocesi diventeranno la loro nuova famiglia, la liturgia delle ore nutrirà stabilmente le loro giornate, l’annuncio della Parola e la carità saranno i loro servizi specifici.
Ma prima di tutto quello che potranno “fare”, il diaconato ha i tratti della scelta definitiva di Dio in risposta a una chiamata che loro hanno sentito e ascoltato e che la chiesa ha verificato nei lunghi anni del seminario.
Il diacono è colui che serve, come dice lo stesso termine greco. Il servizio più visibile è quello liturgico soprattutto nell’annuncio della Parola e nella predicazione. Ma il diaconato nasce per i poveri, per essere espressione della cura della comunità per coloro che ne hanno più bisogno. Negli Atti degli apostoli i diaconi vengono istituiti come aiuto agli apostoli proprio nell’esercizio della carità. È carico di significato il fatto che prima di diventare prete la chiesa domandi ai suoi ministri di vivere un anno di diaconato.
Prima di presiedere viene chiesto un tempo in cui servire, prima di celebrare l’eucaristia un tempo in cui esercitarsi nella lavanda dei piedi.
È come se la chiesa dicesse a questi fratelli che potranno essere preti e guide solo se non smetteranno mai di essere servi del popolo di Dio e soprattutto degli ultimi.
Ecco perché il diaconato, anche se per loro ha i tratti di qualcosa di passeggero, nella sostanza porta con sé tutti i tratti di qualcosa di definitivo. Definitivo è il sì a Dio e alla chiesa, definitivo è il servizio e il dono di sé, lo stile umile e disponibile, l’attenzione agli ultimi, la disponibilità a lavare i piedi.
Nel giorno della loro professione di fede e dei giuramenti prescritti dalla chiesa nella liturgia risuonava l’inno della lettera agli Efesini (Ef 1,1-10). Con le stesse parole vogliamo dire che Lui ha scelto questi giovani prima della creazione perché fossero santi nell’amore, capaci di un vero dono di sé. Li ha adottati e chiamati non solo a essere figli ma anche a diventare servi e padri di altri figli.
Perché siano testimoni e annunciatori della grazia che ci salva, della redenzione che ci ha portato il perdono e una speranza affidabile. Perché siano strumento per ricondurre al Signore i figli dispersi e ricapitolare tutto in Cristo.
Il vescovo nella preghiera di ordinazione si rivolge così al Signore: «Ti supplichiamo o Signore, effondi in loro lo Spirito santo che li fortifichi con i sette doni della tua grazia perché compiano fedelmente l’opera del ministero». Li accompagniamo con la preghiera e l’affetto di tutta la diocesi. Metteranno la loro vita nelle mani del vescovo a cui promettono obbedienza per il servizio alle nostre comunità cristiane.
Rendiamo grazie al Signore per questo dono prezioso. In un tempo faticoso per le vocazioni godiamo di questo regalo che la provvidenza ci porta, pensando alle tante sfide che sta vivendo la nostra chiesa diocesana.