Nelle loro parole il segno della missione
La morte violenta ha colto le tre saveriane a Kamenge. Si indaga per capire come sia maturato questo triplice omicidio. Sofferenza e sconcerto: le sorelle erano ben volute dalla popolazione locale, che sta esprimendo la partecipazione al lutto e la riconoscenza.
Domenica 7 settembre Lucia Pulici e Olga Raschietti, missionarie saveriane a Kamenge, impegnate nella pastorale e in un centro di formazione per donne, vengono trovate senza vita dalle consorelle, che si erano assentate dalla comunità. Una morte violenta, dovuta a un’aggressione fatta con arma da taglio e con pietra, di cui non si conoscono le cause né il colpevole. Poi nella notte, nella casa delle suore vigilata dalla polizia, la terza vittima: Bernadetta Boggian.
La sofferenza si mescola allo sconcerto: le sorelle erano ben volute dalla popolazione locale, che sta esprimendo in tante forme la partecipazione a questo evento luttuoso. Ma anche la riconoscenza: «La congregazione – ha dichiarato Giordana Bertacchini, da poco eletta direttrice generale – esprime gratitudine verso queste sorelle che, nonostante la salute fragile, hanno chiesto di ritornare in missione e hanno dato la loro vita fino alla fine».
Il loro tutto nel Tutto di Dio: una realizzazione piena del tema del Capitolo da poco concluso. La carità della preghiera – anche per chi ha compiuto questo gesto insensato – chiedono le saveriane, che nella serata di ieri si sono raccolte nella cappella della casa madre, mentre oggi la convocazione è nella cattedrale di Parma, dove il vescovo mons. Enrico Solmi presiede l’eucaristia di suffragio. E proprio il vescovo, che da subito si è messo in contatto con la casa madre delle Saveriane e ha manifestato – anche tramite un tweet – la vicinanza e la solidarietà di tutta la comunità diocesana, nell’affidare al Signore Risorto queste sorelle, ha chiesto anche la loro intercessione per risvegliare la nostra fede, troppo spesso sopita, e per far crescere la fede e la pace nel Burundi. Per quella gente per cui si sono spese senza risparmiarsi.
Donne forti nella fede, anche se indebolite nel fisico; consapevoli dei loro limiti, ma anche dell’essenziale della missione. Significative le loro testimonianze, nell’imminenza del rientro in Burundi: «Sono ormai sulla soglia degli ottant’anni. Nel mio ultimo rientro in Italia, le superiore erano incerte se lasciarmi ripartire. Un giorno, durante l’adorazione, pregai: "Gesù, che la tua volontà sia fatta; però tu sai che desidero ancora partire". Mi vennero limpidissime in mente queste parole: "Olga, credi di essere tu a salvare l’Africa? L’Africa è mia. Nonostante tutto, sono però contento che parti: va’ e dona la vita!". Da allora, non ho più dubitato». Così Olga Raschietti, nel luglio del 2013.
Stessa eco nelle parole di Lucia Pulici, che nell’ottobre scorso, si era così espressa: «Adesso sto tornando in Burundi, alla mia età e con un fisico debole e limitato, che non mi permette più di correre giorno e notte come prima. Interiormente però credo di poter dire che lo slancio e il desiderio di essere fedele all’amore di Gesù, per me concretizzandolo nella missione, è sempre vivo. La missione mi aiuta a dirgli nella debolezza: "Gesù, guarda, è il gesto d’amore per te"».
Bernadetta Boggian: «Nonostante la situazione complessa e conflittuale dei paesi dei grandi laghi, mi sembra di percepire la presenza di un Regno d’amore che si va costruendo, che cresce come un granello di senape, di un Gesù presente donato per tutti. A questo punto del mio cammino continuo il mio servizio ai fratelli africani, cercando di vivere con amore, semplicità e gioia».
Granello che ora, marcito sotto terra, è destinato a portare frutti abbondanti.