Mons. Gregori, braccio e cuore delle missioni padovane
Mercoledì 1° marzo è scomparso mons. Antonio Gregori. Alla vigilia della Madonna di Lourdes era salito a Monte Berico per la confessione e lì ha avuto il malore che, seppur due settimane dopo, si è rivelato fatale. Con lui si chiude un'epoca per la chiesa di Padova: è stato il realizzatore delle prospettive missionarie del vescovo Bortignon e, prima, fu alle Pontifice opere missionarie, a Roma, accanto a futuro cardinale Ugo Poletti. Ma a Padova, nel 1974 fondò anche la Caritas. Da alcun anni risiedeva al Cenacolo di Montegalda, di cui fu assistente spirituale per trent'anni.
«Era il braccio e il cuore di mons. Bortignon in terra di missione». Questa immagine, espressa da tutti coloro che l’hanno conosciuto e vi hanno lavorato accanto, ben descrive il tratto essenziale di mons. Antonio Gregori.
«È stato e rimarrà il punto più arricchente della storia missionaria di Padova – commenta mons. Luigi Paiaro, vescovo emerito di Nyahururu in Kenya – Profondo nel pensiero, sempre interessato alla chiesa missionaria nel mondo intero, ha profuso la sua profonda conoscenza dei documenti sulle missioni e ha aggiunto il suo pensiero sempre di alta spiritualità e amore per le missioni. Con noi missionari ha costruito un’amicizia che durerà sempre nel nostro cuore. È stato uno dei doni della chiesa di Padova alla chiesa universale, per la sua profondità di giudizio, per la sua discrezione nel non apparire, per la sua fermezza di carattere nella dolcezza delle decisioni che riguardavano le persone dei missionari».
Mons. Lorenzo Piva, capo ufficio nella Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, che ha lavorato accanto a mons. Gregori per otto anni in ufficio missionario, dal 1982 al 1990, sottolinea soprattutto il
«respiro di universalità che ha portato a Padova dalla sua esperienza romana. Aveva capito benissimo che la scommessa missionaria non era soltanto finalizzata a portare il vangelo, ma aveva un ritorno potente, era come l’ossigeno per la chiesa di Padova, di antica tradizione, che se resta chiusa in se stessa rischia l’implosione, rischia di morire dentro. L’attività missionaria ha mosso una corrente d’aria non soltanto tra i sacerdoti, i fidei donum, ma anche tra i laici, le comunità. Nell’animazione missionaria di quegli anni la sfida era far sì che le parrocchie utilizzassero la stessa metodologia pastora- le che si viveva nelle giovani chiese; era animare le nostre chiese acquietate, tranquille, con la forza che veniva da chiese più fresche, vivaci, affascinate dal vangelo».
«La sua idea forte di missione – sintetizza don Renzo Zecchin, fidei donum in Kenya e poi suo collaboratore in centro missionario – era quella uscita dal concilio: una diocesi non può non sentirsi impegnata nelle missioni, e su questo si è trovato in piena sintonia con Bortignon, insieme al quale elaborò il famoso intervento conciliare sulla missionarietà. Se la missione è prerogativa di ogni chiesa locale, i preti non erano “lasciati partire”, ma “inviati” da una chiesa che si preoccupa di loro seguendoli, amandoli, aiutandoli. L’attenzione particolarissima di Gregori per ciascuno di noi era costante e puntuale. Nella gestione del centro e dell’ufficio missionario ha avuto l’intuizione di avvalersi con fiducia delle persone che il vescovo gli ha messo accanto, per fare animazione sul territorio: sono stati gli anni in cui sono nati i gruppi missionari».
Come uomo e come prete, mons. Gregori era attento a ciascuno, avendo cura della salute e di tutti i problemi che il ministero, esercitato in situazioni difficili, poteva provocare. Le sue relazioni con i preti erano espressione della sua umana attenzione alle persone e della sua fedeltà nelle amicizie. Per Angelo Zambon del centro missionario, che ha operato a lungo come laico in Ecuador, «quando don Antonio mi ha inviato, ha risposto a una specifica richiesta del vescovo di Esmeraldas, mi ha messo a disposizione di una chiesa sorella in base ai suoi bisogni, anche al di là dei nostri impegni diocesani».
«Il percorso di don Antonio – aggiunge don Gaetano Borgo, attuale direttore del cento missionario diocesano – lo si legge anche attraverso le tante fotografie che ha lasciato nel nostro album dei ricordi. Che testimoniano i tanti viaggi, gli incontri, le relazioni. È un’eredità grande, frutto di tanti semi buttati lì nella terra a cavallo del concilio. Dalla sua esperienza di Roma con le giovani chiese ha portato a casa la freschezza che esse ci hanno regalato e continuano a donarci, un colpo d’ala compiuta insieme al vescovo Bortignon che non è solo storia, ma quotidianità, presenza. Il colpo d’occhio, anche alle sue esequie, ha mostrato i messaggeri, i missionari che ancora vivono di questa bellissima forza, dell’entusiasmo che infondeva. Sulle tracce di don Gregori restiamo in una continua conversione. Stiamo comprendendo un po’ alla volta quello che diceva il concilio: non è la chiesa che fa la missione, ma è la missione che fa la chiesa, la rigenera, la trasforma, fa cambiare anche uno stile, dà una mentalità nuova. È dalle missioni che giungono nuove sinergie, spinte, forse anche nuove strategie per questa nostra pastorale».
Oggi sempre più la presenza missionaria padovana non sarà quella dei grandi numeri, delle grandi opere, ma di una missione che accompagna, che diventa segno, condivisione, vita insieme con le giovani chiese, perché, come aveva ben capito mons. Gregori, ogni comunità ha in carico l’universalità della cattolicità.
Una vita per le missioni tra Roma e Padova
Mons. Antonio Gregori ha finito la sua missione su questa terra mercoledì 1° marzo nel reparto di rianimazione dell’ospedale di Vicenza. Dal Cenacolo di Montegalda dove era ospite, si era recato la vigilia della Madonna di Lourdes a Monte Berico per confessarsi. Uscito dal santuario, era caduto a terra colpito da un’embolia. Non è servito il pronto intervento dei soccorsi: il danno si rivelò irreversibile.
Ha resistito per oltre due settimane senza alcuna reazione agli stimoli esterni, anche il respiro era affidato a uno stimolatore. Mons. Antonio Gregori era nato nel 1933 a Barbano di Grisignano e ha conservato sempre un forte legame con la sua famiglia. Ha frequentato il seminario diocesano, distinguendosi per maturità già da chierico, per cui è stato per più anni presidente dell’Opera della Regalità, un’organizzazione interna delle attività dei chierici.
Fu ordinato prete da mons. Girolamo Bortignon nel 1957 con un gruppo di preti, che continuarono a tenere vive le relazioni fra di loro, specialmente fedeli al corso annuale di esercizi spirituali, per molti anni curato da mons. Giuseppe Segalla. L’avvenimento che segnò la vita di don Antonio fu il Congresso missionario nazionale che si tenne a Padova nel 1957, in cui, impegnato come referente locale, fu conosciuto da mons. Ugo Poletti, allora segretario delle Pontificie opere missionarie, in seguito cardinale vicario. Trascorse il primo anno in pastorale alla Guizza, conservandone un nostalgico ricordo. L’anno successivo, nel 1958, Poletti lo chiamò a Roma, dove don Antonio rimase per oltre dieci anni. Ricoprì l’incarico di segretario nazionale dell’Unione missionaria del clero e di vicedirettore delle Pontificie opere missionarie. A Roma trovò l’ospitalità di un altro padovano, mons. Giovanni Strazzacappa. Nel 1967 gli fu conferito il titolo di cappellano del papa e quindi di monsignore.
Nel 1970 il vescovo Bortignon lo richiamò a Padova, per affidargli il suo progetto di sviluppo dell’esperienza missionaria, avviata con mons. Antonio Moletta, e lo nominò delegato vescovile per la cooperazione tra le chiese e presidente del Centro missionario diocesano: un servizio alle missioni diocesane durato 25 anni. Nel 1974 il vescovo affidò a lui anche l’avvio della nascente Caritas diocesana.
Il vescovo Filippo Franceschi nel 1983 lo elevò da delegato a vicario episcopale per la cooperazione fra le chiese. Nel frattempo aveva assunto anche l’impegno di promotore di giustizia nel Tribunale ecclesiastico diocesano, dove confluiscono le cause matrimoniali e successivamente l’impegno di giudice del Tribunale regionale. Nel 1988 era stato nominato canonico della cattedrale. Nel 1990 il vescovo Antonio Mattiazzo gli affidò anche la parrocchia di Sant’Andrea in centro città. Passando a risiedere nella canonica, adattò alcune stanze adiacenti a convitto per i preti stranieri che venivano a completare i loro studi a Padova. Rinunciò al compito di vicario per le missioni nel 1995 e a quello di parroco nel 2009. Continuò a risiedere in parrocchia con il servizio di penitenziere.
Nel 2012 a motivo della salute ha accettato l’ospitalità delle Ancelle del Signore nel cenacolo Nostra Signora di Fatima a Montegalda. Era stato per quasi trent’anni assistente di questo istituto secolare, che è stato anche la sua seconda famiglia. A Montegalda ancora riceveva penitenti e si muoveva in auto a visitare preti anziani e ammalati.
Con lui si chiude una pagina di storia della nostra diocesi. Mons. Antonio Gregori è stato il realizzatore delle prospettive missionarie del vescovo, con l’aggiunta che i viaggi fatti insieme per visitare le missioni gli hanno concesso di sperimentare una singolare familiarità con mons. Bortignon