L'iniziazione cristiana sta cambiando. E le comunità?
Un adulto e un bambino diventano cristiani all’interno di una comunità che li accoglie e che si mette in cammino di fede con loro, e non per loro. Il rinnovamento della catechesi non passa perciò soltanto per una riorganizzazione...
Da quando la nostra diocesi ha ripensato a una nuova impostazione del cammino dell’iniziazione cristiana dei bambini e dei ragazzi, si è sempre parlato anche di coinvolgimento della comunità. Di fatto non ci può essere autentica iniziazione cristiana se non se ne fa carico l’intera comunità cristiana.
Pensare che il rinnovamento passi solo attraverso una nuova riorganizzazione e nuovi strumenti sarebbe svilire l’iniziazione cristiana stessa. Un bambino e un ragazzo, ma anche un adulto, diventano cristiani, infatti, dentro a una comunità che li accoglie, che spiega loro come fare per essere veri cristiani, e che soprattutto insieme a loro professa, celebra e testimonia nella carità la fede.
Ed è sempre e solo all’interno della chiesa che si possono ricevere i sacramenti, segni di grazia che inseriscono pienamente in Cristo e nella comunità cristiana. Molti segnali, in questi ultimi anni, dicono che oltre ai catechisti, il cambiamento ha interessato anche altri soggetti educativi. Per primi i genitori, ma poi anche altri operatori pastorali, che attraverso le attività previste dal cammino del discepolato sono stati coinvolti insieme ai catechisti: operatori Caritas, educatori dell’Acr, alcuni capi scout, qualche operatore della liturgia, ma anche diversi membri del consiglio pastorale parrocchiale.
E tuttavia partecipando agli incontri in parrocchia e nei vicariati, anche nell’ultimo periodo, si sente dire che la comunità rimane ancora estranea al cammino di Ic: non si riesce a coinvolgerla, non si rende presente, non partecipa. Forse a queste considerazioni dovremmo aggiungere alcune sostanziali domande: ma qual è la comunità? Chi è la comunità? È la comunità che vive in un territorio? È la comunità dei battezzati? È quella che partecipa all’eucaristia o è quella che viene coinvolta nella vita pastorale?
Ogni cristiano adulto può dare una risposta, meglio se frutto di un discernimento comunitario tra adulti, ma intanto possiamo dire che il fatto stesso che i membri del consiglio pastorale parrocchiale parlino di iniziazione cristiana e si pongano le domande di come e perché poter trasmettere la fede alle nuove generazioni è già un primo coinvolgimento della comunità. Prima di adesso non era mai capitato.
Sicuramente sul coinvolgimento della comunità dovremmo investire ancora di più dando fiducia al tempo perché si tratta di un passaggio epocale, quello in cui, l’intera comunità cristiana che si ritrova a celebrare l’eucaristia, comprende che il compito di iniziare alla fede riguarda tutti i cristiani adulti, senza tuttavia dimenticare che nel cammino specifico di iniziazione cristiana ci possono e ci devono essere adulti che sono più implicati (comunità educante). Credo invece che la domanda più plausibile, che è stata proposta anche negli incontri residenziali dei coordinamenti pastorali vicariali, è quella di come il cammino di iniziazione cristiana sta cambiando la comunità cristiana? E quali sono i criteri per dire se sta cambiando?
A questa domanda possiamo dire che uno dei criteri è la nascita di relazioni. Se attraverso le attività, il coinvolgimento dei vari soggetti implicati, nascono delle belle e autentiche relazioni fraterne, allora vuol dire che la comunità sta cambiando. Se un adulto che torna nella comunità parrocchiale dopo una lunga assenza, trova persone accoglienti, non giudicanti e capaci di non credere per lui ma con lui, allora la comunità sta cambiando. Se un genitore trova spazi ospitanti dove poter raccontare la sua storia ed è aiutato a riconoscerla dentro a una storia più ampia che è quella della salvezza, allora la comunità cristiana sta cambiando. E se, infine, un bambino o un ragazzo viene accompagnato nell’itinerario iniziatico con modalità semplici, leggere, belle e coinvolgenti per conoscere e scegliere Gesù e vede catechisti ed educatori che sanno lavorare insieme con gioia e serenità, allora la comunità sta cambiando e sta testimoniando il vangelo non a parole ma con i fatti.
E se i genitori e i ragazzi non partecipano?
È la domanda che si sente ancora negli incontri dei catechisti e degli accompagnatori dei genitori quando un ragazzo o i genitori non si sono mai fatti vedere agli incontri previsti o si fanno vedere solo in prossimità della celebrazione dei sacramenti.
Cosa fare? Assumere la linea dura che non dà i sacramenti se non a chi ha vissuto tutte le tappe e i riti, o scegliere la linea morbida che ammette ai sacramenti senza nessuna condizione? Il centro della questione è sempre a monte, e deve essere individuato in quella mentalità, presente ancora nella maggior parte dei genitori, secondo cui il catechismo deve essere frequentato solo per ricevere i sacramenti e non anche per diventare cristiano. Di conseguenza alcuni genitori non sono preoccupati delle assenze e agiscono in base al criterio di ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo, sapendo che Dio... è buono e giustifica!
Su questo versante, a mio parere, è inutile assumere posizioni troppo rigide, ma si deve insistere con tutti i mezzi e atteggiamenti opportuni, affinché anche i genitori compiano un cammino di comprensione sul significato e il senso di iniziazione cristiana. Non possiamo assumere una linea intransigente perché ci si scontra con una mentalità radicata nel mondo adulto, che per essere cambiata chiede tempo e tanta pazienza.
Il comportamento più appropriato sia in primo luogo quello di valutare ogni singolo caso, perché ci possono essere situazioni dovute non solo a ignoranza culturale, ma anche a motivi seri e validi per giustificare la non partecipazione. Su ogni caso, inoltre, deve essere fatta una valutazione congiunta, frutto di un attento discernimento compiuto tra parroco, catechisti e genitori. A volte, opporsi strenuamente e assumere posizioni troppo inflessibili, può dar vita non solo a una totale chiusura alla comprensione della proposta, ma anche a scontri che allontano ulteriormente genitori e figli, i quali alla fine non capirebbero ugualmente il valore del cammino, perché troppo immersi nella mentalità che è sufficiente celebrare il sacramento.
Solo valutando caso per caso si può arrivare a scelte che mettono insieme il rispetto del cammino e delle sue tappe con la richiesta dei genitori dell’ultimo momento, senza penalizzare troppo il bambino che ha diritto, in quanto battezzato, a ricevere i sacramenti che completano l’iniziazione cristiana. In questo sta la capacità di proporre dei cammini differenziati molto più pertinenti con il cammino di fede di ogni singola persona. Un’altra questione è la presenza dei fratelli. Anche su questo aspetto si è avuto modo di ribadire che quando c’è la differenza di un anno i fratelli possono compiere il cammino nello stesso gruppo. Se invece la differenza è maggiore è bene che ognuno segua il gruppo di riferimento della sua età. I genitori, in questo caso, non sono obbligati a partecipare due volte allo stesso cammino in quanto per loro la partecipazione è un’opportunità non obbligatoria, per riprendere in mano la loro fede di adulti nel tempo in cui i figli completano l’iniziazione cristiana. Ai genitori viene data la possibilità di risvegliare la loro fede, di aprirsi alla vita della comunità cristiana, di ricominciare un cammino. Se poi alcuni genitori vogliono ripetere il percorso più volte in base al numero dei figli, sono liberi di farlo. Sarà, caso mai, cura di chi li accompagna coinvolgerli di più, al tal punto da poter chiedere la disponibilità a diventare a loro volta accompagnatori di altri gruppi di genitori.
Giorgio Bezze