«In ogni cristiano è presente la chiesa»
Il ruolo dei laici tra servizi e ministeri. Don Livio Tonello traccia il quadro attorno a un tema chiave. Padova 2040. Quale comunità? Quale volto di parrocchia? Quante avranno ancora un proprio parroco residente? E quale relazione vivrà il sacerdote con i fedeli laici? Quali servizi saranno chiamati a svolgere questi laici? Saranno consapevoli della loro identità di battezzati o si sentiranno i sostituti del prete?
Domande pesanti come macigni. Riflessioni che tuttavia non solo sono indifferibili per la vita della chiesa padovana, ma che sono ben presenti nel dibattito ecclesiale della nostra diocesi da alcuni mesi. Tutte le comunità padovane, su invito del vescovo Claudio e grazie al sussidio La parrocchia. Strumento per la consultazione, proprio in queste prime settimane dell’anno stanno conducendo la loro riflessione su queste grandi tematiche.
Contributi che verranno poi raccolti a livello vicariale, quindi affidati al consiglio pastorale diocesano e che a giugno arriveranno nelle mani del vescovo assieme al discernimento compiuto dai giovani all’interno del loro sinodo: a settembre, in varie zone del territorio diocesano avverrà la restituzione alle comunità.
La Difesa del popolo accompagna questi passaggi cruciali per il futuro della nostra chiesa con un percorso che si apre ora e che si chiuderà a inizio quaresima con la Settimana della comunità, dal 14 al 20 febbraio (vedi box sotto).
Per iniziare abbiamo messo a fuoco una questione fondamentale: il ruolo dei laici e la loro relazione con il clero nelle comunità del futuro. Ne abbiamo parlato con don Livio Tonello, teologo pastoralista e direttore dell’Issr, che ha dedicato la sua tesi di dottorato proprio ai ministeri laicali.
«Dobbiamo anzitutto premettere una parola-chiave – anticipa don Tonello – che è corresponsabilità. Questa significa che ogni battezzato concorre alla missione della chiesa: chiunque, in forza del suo battesimo, è chiamato a condurre una vita da cristiano. A prescindere dai servizi che è disponibile a svolgere concretamente all’interno della parrocchia. Prima di ogni altro discorso è bene partire da qui: ogni battezzato è chiamato a testimoniare Cristo con il proprio stile di vita negli ambienti di vita, di lavoro o di impegno, che possono essere i più vari».
Si tratta insomma di concentrarci meno sulla collaborazione e più sulla corresponsabilità?
«Dobbiamo essere consapevoli che la presenza autorevole di un laico nei suoi ambienti di vita è di per se stessa una presenza di chiesa. In quella presenza c’è la chiesa in missione. Un dinamica che non è valorizzata come dovrebbe. Si tratta di una testimonianza che va stimolata, nella quale le comunità devono avere maggior fiducia. Il vero grande compito del laico è questo».
Oggi più che mai, tuttavia, nella nostra diocesi si parla dei compiti dei laici nelle comunità.
«È quella che chiamiamo collaborazione, e che vediamo in atto quotidianamente nelle nostre parrocchie. Un aspetto fondamentale, ma secondo rispetto alla corresponsabilità. Ci sono dunque laici disponibili a svolgere dei servizi specifici nella pastorale, servizi che non si stabiliscono “a tavolino”, ma che nascono in base alle esigenze della comunità, per rispondere alla chiamata di essere chiesa in un determinato contesto, in questo tempo preciso. In comunità diverse possono nascere così servizi diversi. Nella maggior parte dei casi, si tratta della catechesi e dell’educazione, della carità, della liturgia. In ognuno di questi ambiti possono essere evidenziati dei servizi ministeriali».
Quando un servizio diventa a tutti gli effetti ministero?
«Un servizio pastorale diventa un ministero quando è indispensabile per la vita di una comunità, è svolto per un tempo continuato, riceve una investitura mediante un rito di istituzione. I servizi che i laici, in virtù dei sacramenti ricevuti, possono esercitare sono molti, come vediamo oggi nelle nostre comunità. La ministerialità vera e propria prevede invece un riconoscimento istituzionale, che ogni diocesi può prevedere».
Quando la chiesa ha riconosciuto i ministeri affidati ai laici?
«È stato Paolo VI nel 1972, nella Ministeria quaedam. Un documento posto a revisione, che però per la prima volta ha introdotto il lettorato e l’accolitato per i fedeli laici (anche se solo maschi), ministeri tuttavia considerati di passaggio per i seminaristi e i candidati al diaconato permanente. Ci sono poi i catechisti in terra di missione che di fatto reggono le comunità».
A infittire il confronto da noi è solo la drastica riduzione del clero?
«La crisi del clero ha una sua parte in questo. Vi possiamo cogliere una voce chiara dello Spirito che ci chiama a una maggiore valorizzazione dell’apporto dei laici nella missione della chiesa. I laici non possono essere considerati delegati o sostituti dei preti: sono chiamati a portare la loro visione ed esperienza del mondo, anche nell’agire pastorale. Per questo è fondamentale che siano consapevoli, formati e competenti».
Quali relazioni devono instaurarsi nella comunità per favorire tutto questo?
«Non dobbiamo porre troppo l’accento sulla “differenziazione gerarchica”. Siamo tutti popolo di Dio, nell’accezione del Concilio Vaticano II, e ci riconosciamo in base alla fede che condividiamo. Siamo un “noi” che deve imparare a servire insieme. I laici non prendano sacerdoti e religiosi a modello, ma esplicitino la secolarità che li caratterizza, e che coltivano perché continuamente impegnati nello sviluppo delle realtà terrene. Così un consiglio pastorale non è chiamato a “dare consigli al parroco”, ma “a tenere consiglio”, nel senso che avvia processi decisionali in grado di discernere e orientare la decisione finale».
In diocesi vicine come Vicenza esistono gruppi ministeriali. In cosa consistono?
«Operatori pastorali laici, su mandato del vescovo, costituiscono un piccolo gruppo come responsabili di ambiti quali la formazione, la carità, il rapporto con il territorio, si ritrovano insieme e si coordinano con il parroco nell’azione pastorale comunitaria. Hanno il compito di coordinare le attività, di promuovere e suscitare altri laici al servizio e di accompagnarli. In questo momento nella nostra diocesi è in atto un’attività informativa con i diaconi permanenti che interessa alcuni vicariati e unità pastorali».
Francesco Ballan. Dal consiglio pastorale diocesano. «Ma dobbiamo esserne più consapevoli»
«Questo è il vero grande tema». La consapevolezza da parte dei laici di essere essi stessi presenza di chiesa, prima ancora che titolari di servizi o ministeri all’interno delle parrocchie, per Francesco Ballan di Santa Giustina in Colle, da anni membro della presidenza del consiglio pastorale diocesano, è la vera questione da affrontare.
«Nella mia percezione – continua Ballan – noi laici impegnati siamo diventati molto bravi a parlare delle nostre “cose di chiesa”, delle iniziative delle nostre parrocchie, dei progetti pastorali da sviluppare. Siamo invece carenti nella capacità di testimoniare Cristo negli ambienti in cui viviamo e lavoriamo».
È una questione di mancata consapevolezza, ma non solo.
«Dobbiamo riscoprire la pastorale dei giorni feriali, laddove batte davvero il cuore del laicato. La domenica, o la sera (quando si svolgono gli incontri comunitari) rimangono l’eccezionalità, il di più della vita laicale».
È un lungo viaggio, quello che attende i laici, dunque. Un viaggio alla riscoperta del proprio essere popolo di Dio in cammino, delle motivazioni fondamentali della propria presenza nella chiesa, senza sconti e scorciatoie.
«Per tutto questo serve un cambio di prospettiva, che si ottiene attraverso la formazione, che viene prima di tutti i servizi».
Di fronte alle necessità della comunità, però, il laicato padovano ha sempre risposto con grande generosità.
«L’importante è accogliere questa chiamata al servizio non pensando di occupare un posto o crearsi il proprio giardinetto: evitiamo il rischio clericalismo, non facciamo i “vice- preti”».
Ci sono però delle ministerialità laicali che vanno via via affermandosi.
«In questo senso le idee guida sono due: non tutti i servizi necessitano della presenza di un sacerdote. Possono essere affidati ai laici, ma occorre riconoscibilità. La comunità deve conoscere quale ruolo è affidato e a chi in forma pubblica. E poi vanno stabiliti dei tempi precisi, perché nessun incarico diventi ad appannaggio esclusivo di una stessa persona».