Atlante delle parrocchie 25: da San Benedetto in Padova a Sant'Elena d'Este
«Arte come mistero, come evento in cui domina sempre la figura dell’uomo, nel quale si dispiega il mistero dell’essere, anche se questo non si esaurisce nella finitudine dell’uomo»: così il filosofo padovano Giorgio Penzo descriveva la pittura di Dionisio Gardini, un artista che ha lasciato un segno forte, qualitativamente e quantitativamente, nell’arte sacra padovana. L’occasione per parlarne, a tre anni dalla morte, mentre è in preparazione la prima esplorazione critica completa della sua lunga attività artistica, è fornita dal 25° fascicolo dell’Atlante delle parrocchie, che contiene la scheda storico-artistica della comunità di San Domenico di Selvazzano.
La parrocchiale di San Domenico di Selvazzano, progettata dagli architetti Eugenio Barato e Adriano Cornoldi nei primi anni Settanta, conserva alcune opere di Dionisio Gardini: la Via Crucis su tavola nella navata principale e un dipinto murale, in una cappella laterale, che riassume in tre momenti la vita di san Domenico di Guzman a cui la chiesa è intitolata.
La Via crucis, realizzata nel 1988, era un tema congeniale all’artista padovano, nato nel 1929 e scomparso nel 2013. Diplomato all’Accademia delle belle arti di Venezia, ha iniziato la sua attività di artista e di insegnante nelle scuole medie e nei licei nel 1952.
Tra i fondatori della sezione padovana dell’Ucai, Unione cattolica artisti italiani, si è sempre dedicato con particolare predilezione all’arte sacra, che affrontava con un atteggiamento di sofferta adesione al destino della creatura umana, al dramma di una condizione che cerca faticosamente di ritrovare l’armonia tra terra e cielo, «tra quotidiano soffrire – scrive il critico Giorgio Segato – e aspirazione liberatoria, alleggerimento spirituale».
La poetica di Gardini si ispirò, fin dal suo debutto, a un’arte “figurativa”, in cui però la realtà artistica, come ebbe modo di scrivere nell’effimera rivista Il Bastione da lui fondata, supera il visivo dell’oggetto divenendo immagine di una potenzialità sensibile, accordando il mondo esterno con il mondo dello spirito.
Spesso la sua arte fu però anche denuncia della crisi spirituale che mina alla base i valori umani, corrode moralmente l’individuo «che rifiuta l’ebbrezza dell’infinito per aggrapparsi all’egoismo utilitario del contingente». A proposito della sua arte e della sua capacità di esprimere la sua com-passione con il mondo della sofferenza, è stata citata una frase del grande pittore francese Rouault: «Io sono il silenzioso amico di coloro che soffrono nella pianura deserta». Una consonanza che si esprime nei volti, nei gesti, negli atteggiamenti dei suoi personaggi, spesso evocati dai testi evangelici e agiografici. Un’adesione alla sofferenza che non porta alla rassegnazione, ma diventa proposta morale verso una comune partecipazione ai grandi nodi della contemporaneità.
Le principali opere d'arte
Le opere d’arte succintamente descritte nel numero 25 dell’Atlante delle parrocchie iniziano cronologicamente con l’affresco della Deposizione di Cristo presente nella chiesa di San Benedetto, risalente alla prima metà del Duecento.
La chiesa, severamente bombardata durante la seconda guerra mondiale, ha perduto in quell’occasione il ciclo di affreschi realizzato da Giusto de Menabuoi nel Trecento. Restano le pale cinque-seicentesche di Domenico Robusti, Pietro Damini, Antonio Zanchi, Giovanbattista Bissoni, Dario e Alessandro Varotari.
Al Trecento risale l’affresco con la Madonna col Bambino presente nel primo pilastro di destra della navata della chiesa di San Donato di Cittadella, mentre l’altro ritratto mariano, staccato ed esposto sopra l’altare della Madonna, risale al 1429.
Nel Cinquecento sono stati realizzati gli altri affreschi con i santi Antonio di Padova e Bonaventura da Bagnoregio. Cinquecenteschi sono anche gli affreschi della scoletta del Redentore di Santa Croce, realizzati da Girolamo Dal Santo, Stefano dall’Arzere e Domenico Campagnola, mentre è di Jacopo da Ponte, detto Il Bassano, la pala di Santa Caterina di Lusiana che mostra la Madonna in trono con il Bambino in braccio e a lato santa Caterina e san Zeno.
Ancora del 16° secolo è la pala di Sant’Elena, di scuola veneta, che mostra la madre di Costantino protagonista del Ritrovamento della vera croce. Nella stessa chiesa è conservata un’opera seicentesca dell’emiliano Antonio Triva con Sant’Antonio di Padova con Gesù bambino.
Al Seicento rimanda anche la pala del Sacro Cuore di Gesù di San Cosma di Monselice. L’opera è divisa in due registri: quello inferiore ritrae i titolari della parrocchia Cosma e Damiano con Antonio di Padova e san Bovo.
Il Settecento è presente con la tela della Pentecoste, ancora a Sant’Elena, eseguita da Sante Zanetti nel 1714. La chiesa di Santa Croce di Ospedaletto ha un magnifico altare marmoreo di questo periodo mentre la chiesa di Santa Croce in Padova vanta opere di marmo di Antonio Bonazza e dipinti di Giambattista Mariotti.
Opere ottocentesche sono presenti nella chiesa di San Daniele (il dipinto murale di Sebastiano santo con il ritrovamento della sua tomba in Santa Giustina). Al Novecento risalgono gli affreschi di Teodoro Licini a San Carlo e i mosaici di Elena Mazzari a San Camillo.
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