Fine vita: «Non riduciamo tutto a un problema burocratico», intervista a don Renzo Pegoraro
«Insomma, potremmo anche dire che si tratta di un testo sufficientemente equilibrato, anche se la materia di cui si occupa non può certo definirsi compiutamente con una legge». Don Renzo Pegoraro, docente di teologia morale alla facoltà del Triveneto, con un’attenzione particolare alle tematiche della bioetica, guarda alla nuova normativa sul fine vita, in aula alla Camera lunedì prossimo, con occhio sufficientemente disincantato, nella consapevolezza della complessità del problema. Che non può certo trovare soluzione in una legge, per quanto perfetta, ma richiede in primo luogo attenzione alla dimensione "umana": del malato, della famiglia, del rapporto con i medici.
«Insomma, potremmo anche dire che si tratta di un testo sufficientemente equilibrato, anche se la materia di cui si occupa non può certo definirsi compiutamente con una legge».
Don Renzo Pegoraro, docente di teologia morale alla facoltà del Triveneto, con un’attenzione particolare alle tematiche della bioetica, guarda alla nuova normativa sul fine vita con occhio sufficientemente disincantato, nella consapevolezza della complessità del problema.
«Il pericolo maggiore in questa operazione è quello di ricondurre tutto a una dimensione burocratica. Accade già in altri paesi, anche europei, dove addirittura esistono dei moduli prestampati sui quali un paziente sottoscrive (con quale consapevolezza?) le sue volontà. Questo non è certo accettabile. Il punto nodale è un altro: la legge, qualsiasi normativa, su questo argomento deve essere considerata uno strumento, non certo un fine. Sinceramente mi pare un po’ triste, e certamente riduttivo, che una persona debba definire le modalità del suo fine vita davanti a un notaio o a due testimoni; in questo ambito i coinvolgimenti devono essere altri, diversi, più “umani” e soprattutto vicini all’esperienza esistenziale del malato».
I medici, ad esempio, protestano perché si sentono quasi esclusi…
«Non hanno tutti i torti. Personalmente, ad esempio, credo che in questa vicenda il medico di famiglia o curante, cioè quello che meglio conosce il paziente non soltanto dal punto di vista patologico, ma umanamente, colui che lo ha seguito, che ne ha condiviso il travaglio, debba essere un riferimento decisivo. Non ho nessun dubbio ad affermare che proprio il sanitario debba avere un ruolo privilegiato. Non solo lui, ovviamente».
E la famiglia?
«Ecco l’altro soggetto decisivo. Non vorrei che una dichiarazione personale limitasse il coinvolgimento di chi è vicino, prossimo, al paziente. In sostanza, al di là degli atti formali, delle dichiarazioni sottoscritte, sono convinto che il tema del fine vita vada affrontato attraverso il dialogo tra tre protagonisti decisivi: il paziente, ovviamente, ma anche il sanitario e la famiglia. Escludere uno di questi soggetti sulla base di un atto formale, magari sottoscritto in tempi lontani e con relativa consapevolezza, potrebbe essere un grave errore. In fin dei conti, in molte nostre realtà, in situazioni del genere, il metodo del dialogo e del confronto è stato fondamentale e ha avuto esiti positivi».
Ma vi è anche il fiduciario…
«È una figura importante, a patto che non diventi soltanto il garante formale di un atto. Vedo piuttosto nel fiduciario colui che interpreta autenticamente le volontà del malato e che si attiva per mettere insieme quei meccanismi di confronto e dialogo a cui facevo riferimento. Non mi piace l’idea di un fiduciario notabile, che prenda per buono un atto e gli dia esecuzione alla cieca, anche perché nel tempo talora le situazioni mutano».
La medicina ad esempio, fa progressi insperati; i pazienti poi si relazionano in maniera diversa con la propria vita…
«Proprio tali dinamiche esigono un approccio flessibile, non rigido, disponibile al mutamento. Questo è possibile soltanto parlandosi, confrontandosi, valutando le diverse situazioni. Lo ripeto: una legge può essere utile per individuare un possibile strumento, che deve comunque rimanere tale, non certamente diventare un assoluto a cui ubbidire a tutti i costi».
Qualcuno sostiene che questa legge aprirebbe la strada alla pratica dell’eutanasia...
«Anche su questo punto occorre essere molto cauti: siamo di fronte a un problema di responsabilità e libertà del paziente, due prerogative che sono tali soltanto se non viene lasciato solo e che soprattutto non possono essere liquidate con una dichiarazione sottoscritta. La sacralità della vita vale di più di un modulo».