«Altro che civismo. Questa è l'epoca del cinismo»
L’Italia e l’Europa viste da Ilvo Diamanti, ex direttore scientifico della Fondazione Nordest. Uno stesso sentimento attraversa il continente e dà ali ovunque ai movimenti populisti: è il senso di emarginazione di fasce sempre più ampie della popolazione, alimentato dal distacco tra un ceto dirigente ipergarantito e una società attanagliata dalla crisi.
Allievo di Arturo Parisi (l’“inventore” dell’Ulivo di Romano Prodi), disegna mappe della società e saggia la consistenza della politica.
A 67 anni, Ilvo Diamanti è stato forse il vero protagonista della settima edizione del recente Festival della politica a Mestre promosso dalla fondazione Gianni Pellicani. Ha processato il “nuovo” e, soprattutto, visionato l’Europa sempre in bilico.
«Prevedo il passato e sbaglio perfino lì...» si schernisce l’ex direttore scientifico della fondazione Nord Est, che è l’anima dell’istituto Demos & Pi di Vicenza e opinionista di Le Monde. Tuttavia, sulle orme di Pierre Manent, riavvolge la recente storia d’Italia alla luce della parabola comunicativa: «Berlusconi vinse con il messaggio “Gli altri non sono come voi, io invece sono il vostro specchio”. Più che un politico, incarnava il mito dell’imprenditore degli anni ’90 nella società che cambiava da sola la sua condizione. Con Berlusconi si salta dalla democrazia dei partiti alla comunicazione televisiva: i cittadini diventano pubblico che assiste allo spettacolo della politica. Ma oggi il 50 per cento dei consensi personali va a Gentiloni che in vent’anni non si è mai mascherato ed è il politico più normale, tutt’altro che nuovo».
Diamanti approfondisce la vigilia della prossima campagna elettorale così:
«La crisi non riguarda soltanto i partiti di massa, ma anche i corpi intermedi (sindacati, associazioni, centri culturali) che sono la spina dorsale della democrazia. Nelle urne si raccolgono gli istinti del risentimento. E fin qui ci può stare. L’importante è che non tracimi la domanda rancorosa della “democrazia del popolo sovrano”, senza più mediazioni».
Del resto, lo scenario europeo si rivela sintomatico
«In Germania come in Spagna si governa grazie alla coalizione fra socialdemocrazie e centrodestra liberale, non più conservatore. In Francia, c’è l’ibrido Macron che da noi si potrebbe definire una figura fra Monti e Grillo. Uomo delle banche, ministro dell’economia, nel sistema di Holland. Ma personalizza il nuovo partito con le sue iniziali, eredita l’elettorato socialista e sfrutta l’onda del sistema presidenziale francese».
Diamanti parte dal Veneto per restituire la “svolta” nell’identità politica che appare consolidata un po’ ovunque:
«Già vent’anni fa gli operai veneti votavano Lega invece che sinistra. Ora, per la prima volta, la maggioranza della popolazione italiana si autodefinisce “ceto medio-basso” che in politica guarda altrove. Sociologicamente, è la frattura fra il centro (anche di governo, potere, decisioni) e le periferie che non sono le banlieu francesi quanto intere aree territoriali non più rappresentate dal partito-massa, dal riformismo socialista, dall’organizzazione del consenso».
È davvero un’onda lunga, inequivocabile. Rabbia, amore tradito, solitudine proprio dove il welfare era stato esemplare
«Le prime tracce del “populismo”, non a caso, sono scaturite in Danimarca. Poi Le Pen ha svuotato il bacino elettorale del Partito comunista francese. E infine Trump ha trionfato, lasciando i democratici sull’ultima spiaggia di Washington e della California…».
Una mappatura statistica convincente, squadernando in dettaglio elezioni diverse: «La Brexit? È la rivolta della periferia inglese nei confronti di Londra che vota per l’Europa. Da noi basta guardare la plasticità dell’ultima tornata amministrativa nelle grandi città. Giacchetti a Roma vince ai Parioli e Prati, mentre Fassino a Torino conquista solo i consensi dei salotti buoni. D’altro canto, nel momento in cui la sinistra è orfana del suo partito di massa spunta Jean-Luc Melenchon che al primo turno sfiora il 20 per cento. Oppure ci si ritrova intorno alla radicalità laburista di Jeremy Corbyn e alla candidatura di Bernie Sanders nelle primarie Usa».
Infine, la tendenza consolidata in Italia che da tre lustri aspetta, sogna e insegue una leadership autorevole
«L’Uomo forte, che però non va confuso con un nuovo duce. Nei sondaggi dell’Osservatorio Demos emerge la richiesta di autorità, non di autoritarismo. Una domanda che nel corso degli anni si è progressivamente “personalizzata”. Indirizzata sulle persone, proprio perché
i partiti e le associazioni di rappresentanza hanno perso i loro legami con la società italiana. Mentre le istituzioni di governo – locale, centrale, e ancor più, europee – sono apparse sempre più lontane ai e dai cittadini. Burocrazie anonime, distanti e indistinte. Così è cresciuto il distacco dalla dimensione pubblica. Al senso civico è subentrato il senso cinico. E come anticipava Bauman si è diffusa la solitudine del cittadino globale».