Maestre all'Arcella. Con le mani piene di scuola e fantasia
Una scuola fuori dalla scuola, ma al centro del mondo e della vita. La scuola fatta dalle insegnanti che sanno ancora ascoltare, capire e che custodiscono un pezzo di infanzia. La tenacia delle maestre Gabriella e Luisa che in Arcella trasmettono l'entusiasmo e la voglia di credere nel futuro dei bambini.
«Conservare lo spirito dell’infanzia dentro di sé per tutta la vita vuol dire conservare la curiosità di conoscere, il piacere di capire, la voglia di comunicare». È un azzardo e, in alcuni casi, una forzatura racchiudere la vita di una persona in un aforisma, in un messaggio. Ancor più difficile lo è se pensiamo alla poliedricità di Bruno Munari, tra i massimi protagonisti dell’arte italiana del Novecento, il cui estro è impossibile da incasellare tra scultura, pittura, arte visiva, didattica e pedagogia.
All’infanzia, all’insegnamento ai bambini, alla scuola al di fuori della scuola, Munari ha dedicato intelligenza ed energie, e la sua massima è rivolta proprio ai grandi che, per vocazione, hanno scelto di accompagnare i piccoli nei più delicati passi della vita: gli insegnanti.
Sabato 14 aprile, durante la giornata celebrativa del progetto “Grandi scuole Arcella”, nello spiazzo dei Rogazionisti dove si è svolta la festa, spiccava una maestra con addosso un camice originariamente bianco, ma che nel corso della mattinata si è fatto più simile al costume di Arlecchino. Era la maestra Gabriella Balbo della scuola dell’infanzia Quadrifoglio, semisommersa da un tumultuoso gruppetto di bambini, mamme e papà che si passavano colori acrilici e tavolette. Alla fine sono state realizzate 150 tavole che gli alunni hanno portato a casa e affisso, con orgoglio, ai cancelli. Una scenetta buffa e confortante, così distante dall’ingessata e canonica ora di lezione tra i banchi di scuola; ma del resto, per indossare un camice bianco da scienziato un po’ svitato, ci vuole un po’ di sana e propositiva follia.
«La scuola la fa l’insegnante – sottolinea Gabriella – e per me non devono mai mancare la passione e la voglia di fare la differenza. In questo momento non possiamo permetterci di andare verso il basso. Non è possibile, non si può e, più la tendenza è di lasciarsi andare, più mi fa sollevare e andare avanti. Ed è vincente». Sullo stesso livello di contagiosa follia c’è la maestra Luisa Mattia della scuola primaria Rosmini che, con le classi 2A e 5A – assieme alla maestra Gabriella e agli alunni del Quadrifoglio – ha portato avanti per mesi un laboratorio collettivo in cui i ragazzi si sono sporcati le mani dando libero spazio alla fantasia, seguendo il tema delle emozioni e dell’esprimersi liberamente.
Un messaggio radioso che ha coinvolto anche le altre maestre Adriana, Paola, Mariella, Daniela, Cristina, Mara, Annamaria, Claudia e che ha portato alla creazione di 80 tavolette artistiche che gli alunni hanno donato agli abitanti del quartiere per colorarlo e renderlo più unito. In rigorosa fila indiana hanno consegnato nelle cassette delle lettere un papiro con fiocco rosso nel quale si invitava ad “accogliere” un loro lavoro da esibire sul cancello di casa.
Due maestre, due amiche, la spalla solida quando si vuole sperimentare un approccio diverso o quando tale spinta non viene supportata dall’esterno e vien da sé un po’ di sconforto. Mosse dalla passione, certo, ma parlare di passione è già di per sé una conquista che va difesa con tenacia, non mollando davanti alle tante difficoltà di un mestiere che è costantemente al centro del ciclone, tra gelosie di colleghi appesantiti dalla routine, tagli alle risorse e giornali avvoltoi che aspettano la notizia sensazionalistica, che danneggiano e destabilizzano il già precario equilibrio sociale di un microcosmo, la classe, che rispecchia il domani, internazionale e multiculturale: «L'insegnante, assieme al dottore e al parroco, era il faro della società – ricorda la maestra Luisa Mattia – ed era rispettato. Le cose sono cambiate, gli insegnanti si sentono sminuiti e questo porta a fare il minimo sforzo, così quelle che sono opportunità che aprono la scuola al mondo vengono viste come obblighi. È certamente un lavoro che vive assieme a storie difficili, ma la riconoscenza nel cuore rimane, al di là del ritorno economico. Noi per primi dobbiamo aggiornarci perché i bambini sono cambiati, non c'è più la società di prima, non eravamo preparati a questo cambiamento e a maggior ragione il nostro ruolo diventa fondamentale».
È un’avventura iniziata tre anni fa, la loro, quando hanno portato gli alunni alla Biennale di Venezia: le loro parole prendono vita immaginando i sorrisi stupefatti e le pupille sgranate dei bambini che si tengono per mano tra le calli e la laguna o guardando il mare dal vaporetto. O come quando hanno fabbricato “bombe di semi” da lanciare negli spazi verdi dell’Arcella, attendendo poi il germogliare dei fiori; oppure quando hanno acquistato dei giochi per il cortile scolastico, con una raccolta punti, tramite iniziativa del supermercato Alì, in cambio di un girasole offerto ai passanti.
La collettività nasce inconsciamente qui, in queste esperienze che portano la scuola a essere nuovamente vitale.
Gabriella e Luisa si guardano e si capiscono al volo, le loro risposte si accavallano, identiche, sono mosse dalla stessa fiamma che trova costante ardore: «La fiamma è vedere le famiglie dei tuoi alunni – sorride Luisa Mattia – che per Natale consegnano una scatola di biscotti preparati da loro, fatti assieme trovandosi una domenica, nonostante religioni e tradizioni differenti. La fiamma è anche vederli che si adoperano per realizzare lo striscione delle “Grandi scuole Arcella”, dopo avermi vista stanca e provata. Quel sabato le nostre classi erano complete, non mancava nessun genitore, ed erano felici».
La lezione di Bruno Munari rivive nelle tavolette in giro per l’Arcella, nei semi lanciati nei prati, rivive nella voglia intatta delle maestre di comunicare ancora qualcosa e nel piacere di capire le emozioni dei più piccoli. In una classe dove non esistono esclusivamente dei parametri di giudizio, dall’insufficiente all’ottimo, per valutare la creatività; dove un alunno non deve sentirsi dire “bellissimo”, ma “bravissimo”.
Nella testa di Gabriella Balbo echeggia questa frase: «Tu sei negli occhi degli altri». Nell'immagine che rimane impressa, o ti riconosci o ti ci ribelli. «Chi si impegna nella scuola non è anormale, sono gli altri a esserlo anche se sono la maggioranza. Io non mi sento anormale, perché voglio gioire e star male per le cose che mi dicono o mi mostrano i ragazzi», dice con orgoglio. E finché quel camice sarà pieno di chiazze colorate, allora il loro futuro sarà in buone mani. Impiastricciate.