La settimana di Sanremo ci si divide sempre in due categorie

La settimana di Sanremo ci si divide sempre in due categorie: quelli che lo guardano e quelli che non lo guardano. 

La settimana di Sanremo ci si divide sempre in due categorie

Tra quelli che lo ignorano, troviamo sempre i moralisti, quelli che ci tengono a precisare che non lo seguono per partito preso, per protesta politica, per ribadire che non sono d’accordo con il sistema. E devono necessariamente specificarlo, un po’ come quelli che bevono il caffè senza zucchero e non si sa perché debbano sempre per forza sottolinearlo.

Ora, aldilà delle singole motivazioni di ognuno, che è libero di guardare quello che più gli pare, credo sia doveroso riconoscere che il Festival in questa settimana ricrea un senso di comunità e condivisione che in questo Paese manca da troppo tempo. Un po’ come si faceva riuniti al bar dopo una partita della Nazionale, dove tutti all'improvviso si immedesimavano in allenatori e arbitri.

Aldilà della monotonia dello show e delle banalità proposte da ospiti e conduttori, penso che sia giusto concentrarsi sulla musica. Anzi sulle parole cantate sul palco dell’Ariston.

Nel testo di Simone Cristicchi si parla di figli che si ritrovano ad accudire un genitore, dopo una malattia che lo ha trasformato, e i ruoli improvvisamente si invertono. Chi ha dovuto assistere un parente in casa o andare a trovarlo in istituto, non può non commuoversi di fronte a questa poesia. Ma se non ne parla il cantante, chi l’ha mai fatto in questi anni? Chi ha mai affrontato la questione dell’assistenza familiare, del supporto psicologico che servirebbe a chi accudisce e della difficoltà che si incontrano nella gestione della malattia lavorando a tempo pieno, affrontando sacrifici economici e affettivi per cure, badanti e case di riposo?

Fedez con gli occhi spenti, canta della depressione, come fosse una donna, un amore malato, che alla fine logora e distrugge emotivamente e psicologicamente! Lasciando segni indelebili da guarire. Ma la nostra società non è culturalmente pronta ad accettare che le persone abbiano bisogno di un percorso di terapia, per rielaborare traumi ed esperienze, senza essere additate come pazze. Resta un privilegio sanitario per pochi, di cui spesso ci si vergogna e a cui molto difficilmente ci si avvicina.

“Cuoricini” dei Coma Cose tra ritornelli divertenti e ritmo orecchiabile, scrive una frase devastante: “che dovrei dire io che ti parlavo - E tu nemmeno ti mettevi ad ascoltare - Tu mettevi solo cuoricini, cuoricini”. Quanto malessere viviamo perché le comunicazioni interpersonali sono state sostituite dallo schermo di un cellulare? Quante incomprensioni per non avere il coraggio di affrontare vis a vis quello che ci rende vulnerabili?

Bauman ne parlava evidenziando l’inconsistenza dei legami affettivi, definendo la nostra società “liquida”, basata sull’individualismo e sulla fragilità. Il filosofo sosteneva che questo cercare continua affermazione, ossessionati dall’immagine, dall’apparire a tutti i costi e dal consumismo, ci fa perdere il contatto con la realtà e soprattutto con le relazioni autentiche, che non sono certo quelle virtuali.

Se la conduzione non ha mai voluto prendere posizione netta, l’hanno fatto molto bene i cantanti in gara: il problema di questo Paese non è che ci si ferma 6 giorni a guardare Sanremo, ma tutto quello che non viene letto tra le righe e considerato negli altri 359 giorni! Ma non è certo compito del Carlo Conti di turno!

Liana Benvegnù

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