Ezio Bosso, l’ingegno musicale multiforme di un artista rigoroso e completo
Di tutte le anime musicali che Ezio Bosso ha incarnato nella sua intensissima esistenza rimarrà sicuramente il tratto comune dell’amore verso un’arte che al tempo stesso era disciplina. Contrabbassista diplomato, parallelamente al versante strumentale, coltivato per gran parte della sua carriera, Bosso ha portato avanti anche una vocazione compositiva poi affiancata anche da quella direttoriale, che gli hanno permesso di arrivare a collezionare un catalogo comprendente ben 5 sinfonie, numerosi quartetti per archi, opere e balletti senza però tacere una ricchissima miscellanea di pezzi per vari organici ed ensemble. Per questo, qualunque tributo che si fondi solo sul lato umano, la gentilezza e l’umanità di questo grande artista, sarà necessariamente un tributo parziale. Si rischia infatti di trascurarne tutto il lavoro serio e rigoroso come musicista a tutto tondo.
Quando è stata divulgata la notizia della morte di Ezio Bosso, in moltissimi si sono affrettati a ricordarne il lato umano, la gentilezza e l’umanità, per non parlare dell’ingombrante elefante nella stanza rappresentato dalla sua tragica malattia. Senza voler mettere in dubbio la sincerità di questi omaggi e l’effettiva importanza di tutte queste caratteristiche nella vita e nell’attività di Bosso, rimane però l’idea che qualunque tributo che si fondi su questi presupposti sia necessariamente un tributo parziale. Si rischia infatti di trascurare tutto il lavoro serio e rigoroso fatto dal torinese come musicista a tutti gli effetti.
Non molti sanno che Bosso era un contrabbassista diplomato,
attivo sia in diverse formazioni orchestrali sia – cosa molto rara nel caso dei contrabbassisti – come solista, arrivando anche a incidere alcune pagine del repertorio virtuosistico del suo strumento per etichette di portata internazionale come la Naxos. Parallelamente al versante strumentale che il nostro ha coltivato per gran parte della sua carriera, ha portato avanti anche una vocazione compositiva poi affiancata anche da quella direttoriale che gli hanno permesso di arrivare a collezionare un catalogo comprendente ben 5 sinfonie, numerosi quartetti per archi, opere e balletti senza però tacere una ricchissima miscellanea di pezzi per vari organici ed ensemble. In mezzo a questo mare magnum creativo i suoi brani più celebri come il breve intermezzo pianistico “Following a bird” che lo ha lanciato nell’edizione 2016 del Festival di Sanremo sono poco più che una goccia nell’oceano.
In un’intervista dai toni piuttosto concitati rilasciata lo scorso anno all’Espresso,
lo stesso Bosso rivendicava con forza la propria disciplina e il rigore della sua formazione, contrapponendolo apertamente alla “statuina del personaggio” che gli si era creata attorno.
Queste cose sono in contraddizione l’una con l’altra, in fin dei conti? Forse per il musicista che viveva una sorta di dissidio interiore causato da questa dicotomia il problema c’era, ma sicuramente non traspariva. La cifra caratteristica dell’approccio di Bosso alla musica era la sincerità, una gioia quasi infantile ed estremamente vitale, troppo spesso messa in ombra dai tratti più evidenti della sua malattia, e soprattutto capace di trascendere quelle contraddizioni; e
proprio questa sua via personale alla scrittura, all’interpretazione e alla divulgazione della musica ha costituito un tutto inscindibile che è probabilmente il messaggio più bello e più vero che l’artista Ezio Bosso ci ha lasciato,
e che può trasparire tanto da una delle sue deliziose lezioni concerto in prima serata televisiva nel ciclo “Che storia è la musica” quanto in un ascolto discografico in cui l’aspetto visivo è del tutto assente.
Probabilmente non sarà stato il più grande direttore d’orchestra della sua generazione, o il più grande compositore o divulgatore che dir si voglia. Ma di tutte le anime musicali che Bosso ha incarnato nella sua intensissima esistenza rimarrà sicuramente il tratto comune dell’amore verso un’arte che al tempo stesso era disciplina e che soprattutto, questo ci ha insegnato, può essere una vera ragione di vita.
Filippo Simonelli