Stefano Dal Bianco, vincitore del Premio Strega Poesia 2024. I luoghi parlano, la poesia ascolta e coglie
Stefano Dal Bianco, vincitore del Premio Strega Poesia 2024, è nato a Padova, vive in provincia di Siena dove insegna poetica e stilistica all’Università. «La poesia oggi è molto libera e non c’è molto altro da dire: la poesia esiste ed è aperta a qualunque tendenza», dice
“Tante di queste inapparenti cose scritte/arrivano da sé, dettate a un cellulare/ dagli dèi della natura silenziosa/che stanno oltre le siepi/e talvolta camminano con me/ prendendo il sopravvento/quanto più sono distratto”. Un’epifania e una dettatura, questi versi non sono niente più di questo, sembra dichiarare Stefano Dal Bianco, poeta padovano che ha vinto la seconda edizione del Premio Strega Poesia con la raccolta “Paradiso”, Garzanti editore. Certamente Dal Bianco ha vissuto uno stato di grazia straordinario nel tempo in cui ha scritto questi componimenti (il 2020 e il 2022), esperendo molte di quelle intermittenze del cuore che Proust considerava momenti di rivelazione di un segreto mai del tutto afferrabile. La raccolta, quasi un diario stagionale di un uomo che cammina campi e boschi in compagnia del cane Tito, è percorsa da un senso d’assoluto che accompagna una visione panteistica del mondo, in cui uomo e animale sono compresi in un ciclo naturale che l’io poetico non solo accetta ma comprende sin nel profondo. Va detto subito che uno dei grandi pregi di questa raccolta è l’accessibilità del linguaggio: la poesia appare di facile lettura anche se la tradizione interiorizzata dal poeta si rivela continuamente nel suono, nella metrica e nella retorica; questi elementi, però, non fanno sfoggio di sé ma, anzi, vengono dopo, come suoni di un’eco lontana. «Questo libro spezza una lancia in favore del lettore – afferma Dal Bianco – c’è una comprensibilità almeno apparente che lo rende leggibile da chiunque, lo sto sperimentando. Il percorso di scrittura va sempre, nel mio caso, verso la naturalità della lingua ma la verità è che non c’è niente di volontario in questo libro, soltanto un’apertura ai messaggi provenienti dall’esterno e un silenzio interiore in grado di accoglierli. Nessuna intenzione, dunque, ma una presa diretta sull’esperienza».
In cosa consiste il Paradiso di cui ci racconta il titolo della raccolta?
«Quasi tutte le poesie della sezione Paradiso sono nate dal 2019-20 al ‘22, in isolamento. La situazione era inquietante ma io l’ho vissuta da privilegiato. Mi sono trovato in questa situazione meravigliosa di non essere obbligato ad avere a che fare con nessuno, ma solo con vegetali e animali. Così, per la prima volta, dopo dieci anni che vivo a Orgia, un borgo della collina senese che conta una trentina di abitanti, ho preso possesso del luogo, è diventato in qualche misura mio e ha iniziato a parlarmi. I luoghi parlano sempre, ma se tu non hai sviluppato la facoltà di ascolto non puoi cogliere nulla».
Leggendo le sue poesie viene facile immaginarla formicolare il paesaggio, lei e il suo cane Tito. E uso formicolare così come lo usa Andrea Zanzotto che amava moltissimo perdersi nei suoi boschi e cogliere la voce del luogo là dove si rivelava.
«Studio Zanzotto da una quarantina d’anni, ne ho curato il Meridiano (raccolta di opere di classici italiani e stranieri della Mondadori, ndr), commentando ogni poesia e poi l’edizione Oscar Mondadori. Eppure in tutti questi anni era difficile individuarlo tra i miei versi. Certamente stava in questioni di forma, molto pesantemente, ma non nei temi che rimanevano molto miei. Anche lui era simpaticamente sorpreso da questa cosa, una volta mi ha detto: “Vedo che te sì molto indipendente!”. In questo libro, invece, è emerso brutalmente, perché ho finalmente capito che cos’è quella sua incapacità di muoversi dal percorso, da Pieve di Soligo, e in cosa consiste questo rapporto con il paesaggio, con la natura. Ho capito finalmente che il paesaggio conferisce identità, conferisce coscienza. L’ho sperimentato ed è stato dirompente capire che, per esempio, ecologismo significa che noi dobbiamo salvare il sacro che è nella natura, ma non a parole. Occorre sperimentarlo, bisogna andare nel bosco e starci da soli».
Il premio Strega poesia, istituito da soli due anni, ha certamente il merito di illuminare quanto di meglio il mercato editoriale produce anche in termini di poesia. Oggi non è facile orientarsi, in tanti scrivono poesie, sembra che basti andare a capo, recitare versi new age, parlare al cuore e sei poeta. Professore, dove sta andando la poesia oggi?
«La poesia oggi è molto libera e non c’è molto altro da dire: la poesia esiste ed è aperta a qualunque tendenza. Si è visto nella cinquina finalista dello Strega di quest’anno, eravamo veramente molto diversi tra noi. Per il resto, ci sono sempre stati dei fenomeni di popolarità, di qualcosa che si spaccia per poesia e non lo è. Però, col tempo, chiunque si accorge di una differenza, magari se ne accorge per sbaglio. Certo la poesia sconta troppi decenni di chiusura in se stessa. E non è finita ancora, purtroppo».
Nato a Padova, insegna a Siena, scrive poesie e saggi
Stefano dal Bianco, nato a Padova nel 1961, vive in provincia di Siena, dove insegna poetica e stilistica all’Università. Si è occupato prevalentemente di Francesco Petrarca, Ludovico Ariosto, Andrea Zanzotto. Dal 1991 ha pubblicato diverse raccolte di poesie, i suoi saggi di poetica sono raccolti in Distratti dal silenzio. Diario di poesia contemporanea, 2019.
M., 17 anni, vince il concorso del Centro Astalli
Adesso è una studentessa 17enne della scuola Dieffe di Noventa Padovana ma la prima infanzia l’ha vissuta in Tunisia. È arrivata in Italia ancora bambina con la madre e il fratello a bordo di un barchino in balia delle onde e l’ha raccontato nella poesia Attraverso il mare scuro, componimento con cui M., ha vinto il concorso “Versi Diversi-La poetica della pluralità” organizzato dal Centro Astalli, sede italiana del servizio dei gesuiti per i rifugiati, usando quella lingua che era un ostacolo e che ora diventa strumento di affermazione. M. ha affidato ai versi la propria storia: la fuga in un camion verso la costa; una barca troppo piccola per tutti i migranti; le onde sempre più alte e le parole della madre sussurrate all’orecchio per tranquillizzare i figli. Poi la gioia incontenibile una volta avvistate le coste italiane. «Siamo orgogliosi del riconoscimento dato alla nostra studentessa – affermano i docenti di Dieffe – la sua storia è esempio di resilienza e di capacità di superare le difficoltà anche grazie all’istituzione scolastica».