Spazzatura spaziale. L'inquinamento dello spazio orbitale terrestre e alla sua difficile "ripulitura"
Dopo decenni di accumulo di detriti velocissimi, l’affollamento dell’orbita bassa è ormai veramente sul punto di diventare eccessivo e, di conseguenza, estremamente pericoloso.
Il “cielo sopra le nostre teste”, ovvero lo spazio che circonda il nostro pianeta e che, ormai da oltre mezzo secolo, stiamo progressivamente “affollando” di oggetti scagliati in orbita (orbita terrestre bassa), in numero sempre crescente. In questo senso, stiamo continuando ad adottare un atteggiamento decisamente permissivo, quasi come se “sulle nostre teste” ci fosse sempre spazio per un oggetto in più.
La realtà è che, dopo tanti decenni di accumulo di detriti velocissimi (stadi di propulsione esauriti, bulloni e scaglie di pittura vaganti, scorie di razzi a propellente solido, satelliti morti o morenti, rottami sparsi in giro dai test di sistemi anti-satellite, ecc…), l’affollamento dell’orbita bassa è ormai veramente sul punto di diventare eccessivo e, di conseguenza, estremamente pericoloso. Basti pensare che ciascuno di questi detriti, da solo, può danneggiare o distruggere altri veicoli spaziali.
Ma non è tutto. Il problema infatti sta per aggravarsi, e di molto, con l’arrivo di “mega-costellazioni” di satelliti che prevedono migliaia di oggetti orbitanti. Ad esempio, SpaceX Starlink, una rete internet a banda larga; oppure la mega-costellazione di un’azienda denominata One Web, oppure il progetto Kuiper, che Amazon intende realizzare nel prossimo futuro, con una mega-costellazione di 3200 satelliti!
Questa crescente congestione spaziale ha ovviamente fatto aumentare anche i casi di collisioni tra oggetti orbitanti, spesso evitate per un soffio. Ad esempio, la Stazione spaziale internazionale è regolarmente costretta ad aggiustare la propria orbita per evitare rottami potenzialmente dannosi. In più, ogni collisione vera e propria genera altri minacciosi rifiuti, esacerbando così una situazione già grave. E’ quanto accaduto nello scontro del febbraio 2009 fra un satellite Cosmos russo ormai morto e un veicolo spaziale commerciale di Iridium, con la produzione di una quantità enorme di frammenti in orbita.
Dunque, trovare il modo per rimuovere almeno in parte tutta questa spazzatura spaziale dovrebbe essere fra le massime priorità mondiali, per evitare quella che oggi viene chiamata “sindrome di Kessler” (dal suo preconizzatore Donald Kessler, uno tra i più eminenti scienziati della NASA impegnati nella ricerca sui detriti spaziali): con il crescere della densità dei rifiuti spaziali, può prodursi un incontrollabile ciclo autoalimentato di collisioni che generano a loro volta, a cascata, altri rottami. Col risultato finale che l’orbita terrestre bassa diviene troppo pericolosa per la maggior parte delle attività spaziali. “Nella comunità scientifica – afferma Kessler – è oggi opinione comune che, per quanto riguarda i detriti, l’ambiente ha già superato il punto di svolta: i frammenti continuerebbero ad aumentare anche se si fermassero del tutto i lanci. Ci vuole una collisione del tipo di quella fra Iridium e Cosmos per richiamare l’attenzione generale. Alla fine, tutto si riduce a questo… Ed è un pezzo, ormai, che ci aspettiamo che avvenga qualcosa del genere”.
Per provare a sanare questo scenario da incubo, molte sono le soluzioni proposte in questi ultimi anni: reti, raggi laser, arpioni, palle di schiuma giganti, soffi d’aria, cavi d’ormeggio e vele solari, nonché bracci e tentacoli robotici.
In ordine di tempo, l’ultima iniziativa è una missione dimostrativa appena lanciata, End-of-Life Services of Astroscale Demonstration (ELSA-d). La missione, sviluppata appunto da Astroscale (un’azienda di servizi satellitari con sede in Giappone) è composta da due satelliti: uno è il satellite “di servizio”, progettato per rimuovere in sicurezza detriti dall’orbita, e l’altro il satellite “cliente”, che rappresenta anche l’oggetto di interesse. Entrambi costituiscono un sistema magnetico in grado di catturare gli oggetti in orbita stabile, ma anche quelli in moto erratico, sia per rimuoverli sia per sottoporli a manutenzione in orbita. Dopo aver effettuato una serie di test, è previsto che i satelliti cliente e di servizio lascino poi l’orbita insieme, disintegrandosi in un tuffo infuocato nell’atmosfera terrestre. In questo momento, ELSA-d è in orbita attorno alla Terra, dopo il suo lancio avvenuto il 22 marzo, con un vettore russo Soyuz che ha dato un passaggio, contemporaneamente, a un gran numero di altri satelliti di vario tipo.
Ma anche se questo esperimento funzionasse, saremmo ancora ben lontani dall’aver trovato una soluzione definitiva. Del resto, non sembra possibile immaginare una soluzione adatta per tutti gli usi al problema della spazzatura spaziale. Una cosa, infatti, è rimuovere un grosso razzo esaurito, altro è rimuovere la stessa massa suddivisa in oggetti molto più numerosi e più piccoli, dispersi in una vasta gamma di orbite.
In pratica, la spazzatura spaziale varia da nanoparticelle a interi veicoli spaziali (ad es. Envisat, un satellite dell’Agenzia spaziale europea delle dimensioni di un autobus a due piani!) e gli studiosi avvertono che i rischi maggiori vengono dai detriti di dimensioni comprese tra uno e dieci centimetri, infinitamente più numerosi di quelli con dimensioni maggiori. Non bastava inquinare la terra, bisognava “sporcare” anche il cielo?