Salvarsi con i libri. La bellezza che si nasconde nella vita di ogni giorno è rivelata anche grazie alla letteratura
Esistono libri con una marcia in più, in grado di mostrare anche solo un frammento della grande strada del senso della vita.
Il libro può aiutare, lo dicono gli psicoterapeuti, soprattutto quelli che adottano la Biblioterapia, la cura attraverso lettura. In questi giorni di obbligata sedentarietà, di preoccupazione per i nostri cari, per la sorte di quanti versano in condizioni di salute già critiche, per gli anziani e per tutto il personale medico e infermieristico, oltre che per i volontari che fanno anche l’impossibile per aiutarci a uscire fuori dal male, possiamo però dedicare un po’ più di tempo alla lettura. Sì, ma quale? Uno storico della letteratura può solo dare qualche indicazione di massima, perché dipende anche dai gusti individuali: tuttavia esistono libri con una marcia in più, in grado di mostrare anche solo un frammento della grande strada del senso della vita. Come accade per un vero e proprio classico del Novecento, quella “Montagna incantata” di Thomas Mann che ci riguarda, e da vicino, perché parla di una malattia, a quel tempo la tisi, e di un sanatorio in alta montagna in cui il tempo sembra scorrere diversamente. Chi vi è ricoverato, e i visitatori stessi, entrano in un continuum spazio-temporale che apparentemente li estranea dal mondo, ma che in realtà riassume simbolicamente la vita con i suoi amori, le ideologie, la malattia e la cura, fino a che il visitatore-paziente esce finalmente da quell’eden contraddittorio, guarito nel corpo e forse anche nell’anima: diviene, in questa sua nuova realtà di iniziato alla salute interiore, testimone e attore di un brusco ritorno alla realtà storica: la prima guerra mondiale. Le parole del narratore, alla fine di questo percorso quasi rituale, sono ferite dolenti ma anche speranza: “Chissà se da questa mondiale sagra della morte, anche dalla febbre maligna che incendia tutt’intorno il cielo piovoso di questa sera, sorgerà un giorno l’amore?”.
Un altro scrittore che ha affrontato il tema della conciliazione tra cammino umano, bellezza e salute interiore è stato Gilbert Keith Chesterton, non tanto quello del ciclo di Padre Brown che gli ha donato la fama, ma quello di un romanzo capace di spiegare da solo alcuni traumi e apparenti follie del Novecento: “L’uomo che fu giovedì”. Qui gli attentati politici, l’ideologia tesa all’odio e incosciamente al nulla, la solitudine, la speranza si incontrano nella lotta di un giovane poliziotto contro il terrorismo. La disperazione è analizzata con una lucidità e un coraggio davvero rari in quegli anni di intellettualismo estetizzante a tutti i costi (uno dei numi tutelari del tempo era Oscar Wilde), e molti luoghi comuni dell’estremismo di quell’epoca vengono ridimensionati. Con una conclusione di rara bellezza in cui la letteratura e l’arte preraffaelita si fondono nella descrizione di una “ragazza dalle chiome d’oro rosso, che recideva lillà prima di colazione, con la sua inconsapevole gravità di fanciulla”.
Ma anche la poesia, se è poesia autentica, ci accompagna fino alle porte della vera bellezza e perciò di un assaggio della salvezza: quella di Emily Dickinson, ad esempio, che trasforma il microcosmo del proprio giardino domestico in un universo che rimanda a sua volta al giardino perduto della Bibbia. Una poesia visionaria che va oltre il presente nella ricerca del divino nella piccola esistenza dei nostri atti quotidiani: “E’ solenne sentirsi nel fondo l’anima/ farsi matura-/ e pendere dorata – mentre più su/ la scala dell’Artefice è poggiata-/ e nel Frutteto odi da lontano/ cadere una Creatura”. Avevamo un’immagine dell’Eden negli alberi, nelle piantine del balcone, del terrazzo, della sala: grazie ad una poetessa ora lo sappiamo.