L'allarme dell'intolleranza, tra crocifissi e "parassiti"
La scuola può diventare un luogo positivo e molto concreto, dove l’antidoto della cultura e della riflessione aiutino a mantenere vivi gli anticorpi per una società civile e tollerante.
C’è da essere allarmati. E la scuola, ci auguriamo, può diventare un luogo positivo e molto concreto, dove l’antidoto della cultura e della riflessione aiutino a mantenere vivi gli anticorpi per una società civile e tollerante.
L’allarme riguarda proprio l’intolleranza, che spesso finisce per ammantarsi e farsi forza di “valori tradizionali”.
Intolleranza che trova spazio nell’ormai deriva continua delle parole politiche: sembra che ormai sia stato sdoganato tutto, non ci si cura più del “peso” dei termini usati da parte di persone che rappresentano lo Stato. Così è stato già ben rimarcato che non si può accettare la definizione di “parassita” usata per una parte delle persone Rom dal ministro Salvini. La “sacca parassitaria” è associata all’illegalità e questo dà ancora più forza alle parole ostili. Perché le lega a fatti reali e esigenze vere. Come non concordare, infatti, che – come dice il ministro – “noi chiediamo semplicemente parità di diritti e doveri, i bambini devono andare a scuola, le auto devono essere assicurate e va fatta la dichiarazione dei redditi. Bruciare le cose con dei roghi tossici non fa parte della legalità”. Giusto. E così si giustifica l’attacco alla “sacca parassitaria” che invece non soddisferebbe a queste condizioni. Gaber in una delle sue ultime canzoni suggeriva che “Il tutto è falso, il falso è tutto: quello che si sente, quello che si dice, il falso è un’illusione che ci piace, il falso è quello che credono tutti, è il racconto mascherato dei fatti, il falso è misterioso e assai più oscuro se è mescolato insieme a un po’ di vero, il falso è un trucco, un trucco stupendo per non farci capire questo nostro mondo”.
Ecco, mescoliamo il falso – e le parole ostili – con un po’ di vero – le esigenze di legalità ecc. ecc. – e abbiamo un racconto che ci confonde, ci aliena. E ci porta lontano. Qualcuno ha ben ricordato che il termine “parassita”, unito a una propaganda mirata e palesemente falsa, è stato usato contro gli ebrei, durante il nazismo e il fascismo. Cosa ha prodotto lo dice la Storia.
Un altro allarme riguarda l’accostamento tra le derive appena dette e il ricorso ai valori tradizionali. Non che sia stato fatto direttamente, ma come non trovarlo nei fatti? Quella stessa parte politica che addita i parassiti, da altre parti solleva ad esempio la questione del crocifisso da esporre senza dubbi nei luoghi pubblici, questione che fa l’occhiolino a una rivendicazione identitaria che può trovare ampi consensi. Però – come dice efficacemente il gesuita padre Spadaro – “usare il crocifisso come un Big Jim qualunque è blasfemo. La croce è segno di protesta contro peccato, violenza, ingiustizia e morte. Non è mai un segno identitario.
Grida l’amore al nemico e l’accoglienza incondizionata. È l’abbraccio di Dio senza difese. Giù le mani”.
Naturalmente la questione del crocifisso è complessa e meriterebbe ben altra trattazione, ma qui interessa la concomitanza di questioni: il rischio è avallare un immaginario collettivo che rinforza le identità le une contro le altre. E fomenta intolleranze.
Ecco allora il richiamo alla scuola, anche in tempo di vacanza. Si attrezzi sempre meglio per affrontare anche questi temi. A scuola, dove si cresce nel confronto e nello studio, nell’approfondimento e nelle relazioni, c’è lo spazio per combattere “il falso”, anche quello mescolato “con un po’ di vero”. Lo spazio per creare dialogo, comprensione, tolleranza. Senza far sparire le identità, ma mettendole in gioco con le braccia aperte – così è il crocifisso – pronte a incontrare e non ad escludere. E ad evitare così derive davvero pericolose.
Alberto Campoleoni