Roma, le ragioni di un antico fascino. Il fascino dell'Urbe nei millenni, rinfocolato dalla scoperta del presunto sepolcro di Romolo

Roma è una delle pochissime narrazioni che vengono avvertite come non estranee in ogni latitudine planetaria ed è quindi anche un raro esempio di comunicazione empatica internazionale.

Roma, le ragioni di un antico fascino. Il fascino dell'Urbe nei millenni, rinfocolato dalla scoperta del presunto sepolcro di Romolo

La notizia del ritrovamento del sepolcro di Romolo, sotto la scalinata della antica Curia del senato, è in realtà una conferma, perché già centoventi anni fa gli archeologi avevano individuato alla stessa profondità (quasi quattro metri) una cassa in tufo e un cilindro anch’esso di tufo. Si tratta quindi, se gli studi e le analisi di questi giorni lo confermeranno, di una riscoperta che però riapre un lungo e complesso discorso su Romolo stesso e sull’immagine di Roma non solo nella storia. Perché in realtà noi non sappiamo bene che fine abbia fatto il fondatore dell’Urbe: Tito Livio nel suo “Ab urbe condita” ci parla di una sorta di assunzione in cielo tra gli dei, ma lascia aperta anche la porta di un’altra inquietante ipotesi, e cioè che gli stessi “padri”, gli antichi compagni di fondazione, vale a dire i senatori, lo avessero fatto fuori, smembrato e cancellato le tracce del delitto, che tra l’altro ne richiama altri più antichi di origine rituale, come il mito di Dioniso. Non ci soffermeremo sui motivi di questo possibile – ma non certo – evento, anche se Livio si lascia scappare qualcosa che ci fa pensare: “Romolo, tuttavia, fu più gradito al popolo che ai patrizi e di gran lunga più caro degli altri nell’animo dei soldati”, e cioè che il suo legame con il popolo e l’esercito avesse fatto di lui un possibile tiranno, tagliando fuori dalle leve del potere i suoi antichi amici.  Anche perché lo storico poi continua affermando che la “pubes romana”, i giovani (e quindi i soldati) non si fidavano molto della versione miracolistica della sua scomparsa data dai senatori, anche perché erano stati questi a vedere vivo per l’ultima volta il re.

Ma il mistero rende ancora più affascinante la millenaria storia di una città che è rimasta per sempre nell’immaginario collettivo in ogni parte del mondo. Alcuni studiosi della Roma antica erano e sono tedeschi, inglesi, americani e di molte altre latitudini, e la letteratura, l’arte, l’archeologia, i film, ma se è per questo anche la musica, hanno contribuito a rendere immortale una città che non a caso è chiamata eterna. Roma è una delle poche, pochissime narrazioni che vengono avvertite come non estranee in ogni latitudine planetaria ed è quindi anche un raro esempio di comunicazione empatica internazionale. Va da sé che il motivo oggi dominante è la presenza del Pontefice, in grado da sola, grazie al messaggio evangelico, di simboleggiare l’amore per l’altro.

Ma non è solo questo. È che la sede di Pietro è vista come una continuazione della storia romana: si ricordi che Dante stesso, nel canto VI del Paradiso, afferma la provvidenzialità della diffusione romana nel mondo di allora, perché in quelle legioni militavano uomini che portavano con sé il messaggio di Cristo e questo contribuì a universalizzare il cristianesimo. E nella narrativa contemporanea questa ipotesi sta riprendendo piede: l’arcaico pontifex maximus sarebbe divenuto durante e dopo le invasioni barbariche quel pontefice che rappresentò l’unica forma di riferimento dopo il collasso dell’impero. Romanzi come “Il segreto di Bruto” (edizioni Spartaco, 2018) di Raffaele Alliegro o “Il profanatore delle biblioteche proibite” (Newton Compton, 2012) di Davide Mosca fanno riferimento a questa continuità. E, a proposito di romanzo storico, non si può ignorare come, dopo la moda medioevale degli anni settanta-ottanta (basti pensare al “Nome della rosa” di Umberto Eco) oggi esso si rivolga sempre di più proprio alle origini di Roma, come fa ad esempio Matteo Trevisani con “Libro dei fulmini” (edizioni Atlantide, 2017) o al periodo imperiale, come nel caso di Bruno Cantamessa e del suo “Roma brucia!” (Città Nuova, 2016). E abbiamo parlato solo di pochi esempi. Il fascino dell’Urbe è sempre lì, dura da più di duemilacinquecento anni, perché unisce in sé storia e fede, sacro e profano.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)