La fiducia che arriva dai campi. L’agroalimentare continua a lavorare e produrre, ma è fragile ed esposto alle bizze di clima e mercati
Tra le imprese lasciate aperte in Italia, circa il 50% - rileva la Coldiretti - lavora per garantire le forniture alimentari alla popolazione.
Fiducia. Traguardo difficile da raggiungere in questi giorni di emergenza e di crisi. Traguardo che sembra allontanarsi sempre di più e che, fra l’altro, è complicato da conquistare. Situazione che vale per l’economia. E anche per l’agroalimentare, che deve fare i conti con qualche problema in più. Eppure, è proprio dai campi e dalle industrie di trasformazione alimentare che può arrivare un segnale positivo.
Il dato è semplice. L’indice Istat sulla fiducia delle imprese nel mese di marzo è crollato: oltre la metà delle aziende (51%) ritiene che l’impatto economico negativo sia destinato a durare nel tempo. Valutazione comprensibile, visto che quattro aziende su dieci (41%) registrano difficoltà economiche nella propria attività. Tutti con il fiato sospeso, in attesa di capire dai numeri del contagio Covid-19 come sarà il giorno dopo. Niente investimenti, quindi, e nemmeno assunzioni, senza dire dei piani e delle strategie di sviluppo. Clima difficile anche tra i consumatori. Coldiretti ha già parlato – con ragione – di una spesa di guerra alla quale ci italiani avrebbero messo mano. In aumento del 50%, per esempio, sono gli acquisti di uova e del 47% quelli di latte Uht, ma salgono addirittura del 59% quelli di pasta di semola, del 17% le spese per il caffè macinato e del 9% quelle di acqua in bottiglia. “Con l’emergenza – è il commento dell’organizzazione agricola -, si torna a comprare soprattutto prodotti di base con la tendenza ad accumulare quelli a lunga conservazione come Grana Padano e Parmigiano (+38%), tonno sott’olio (+34%) e salumi (+22%)”. Incerti su quanto durerà la battaglia contro Covid-19, le famiglie fanno scorte. Anche se, a ben vedere, non vi è alcun bisogno. E’ insomma l’effetto della scarsa fiducia a colpire le persone (oltre che le aziende), e quindi i mercati.
Ma è proprio dall’agroalimentare che arrivano i segnali positivi. Tra le imprese lasciate aperte in Italia, circa il 50% – rileva la Coldiretti – lavora per garantire le forniture alimentari alla popolazione con oltre un milione di realtà divise tra 740mila aziende agricole, 70mila industrie alimentari e 230mila punti vendita, tra ipermercati, supermercati, discount alimentari, minimercati e altri negozi di vicinato. E’ già stato detto, ma è bene ripeterlo: la filiera alimentare continua a lavorare con 3,6 milioni di persone che generano un valore dai campi agli scaffali pari a 538 miliardi di euro (il 25% del Pil).
E pensare che proprio l’agroalimentare nazionale non vive certo un periodo facile. Oltre alle bizze dei mercati (la crescita della domanda mette comunque sotto pressione il settore, mentre le merci non viaggiano certo con facilità), ci sono anche gli effetti del maltempo. L’improvviso abbassamento delle temperature avvenuto in questi giorni, hanno rilevato sempre i coltivatori, pare abbia provocato gelate estese nei campi coltivati da Nord a Sud della Paese con pesanti danni a frutta e verdura, il cui sviluppo è iniziato in anticipo per effetto di un inverno che invece spesso è stato mite. E non basta, perché, a differenza di molte produzioni industriali, quelle dei campi e delle stalle non sono programmabili e tanto meno convertibili e ancora meno è possibile semplicemente bloccarle. Nelle stalle, la produzione di latte e di carne va avanti comunque; nei campi le coltivazioni seminate prima della crisi seguono il loro ciclo, e quelle che dovranno essere raccolte magari fra qualche mese, devono essere messe a dimora adesso oppure fra poche settimane. La potenza e le peculiarità dell’agricoltura fanno giocare un ruolo importante a questo settore, ma possono anche trasformarsi in difficoltà pesanti.
Insomma, se da un lato l’agricoltura e l’agroalimentare sono fra i migliori esempi di fiducia d’impresa nonostante tutto, dall’altro sono tra i settori nei quali la fragilità dei mercati e delle strutture aziendali possono davvero azzerarne le prospettive in breve tempo.